tag:blogger.com,1999:blog-4913017093884211782024-03-21T04:54:16.382+01:00a luci spenteBlog di <a href="http://www.teatroimpulso.it/home/home.html">Teatroimpulso</a>Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.comBlogger127125tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-31380504789191530732018-03-08T16:16:00.000+01:002018-03-08T16:19:12.051+01:00Agnès Varda e il cinema prima dell'onda<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS9ArmYhvc39IBasJyVSQB6jnE14vJiUavj5zV86pmSk99WNri262Bz833gz262wEbaZmPQEMZkGBqwlfBOaakotvXLIQ55Xi4UOrw0EnybCzpIFGwz2QS1AnUGN0FsRT-0WqlpwTRfnPv/s1600/Agn%25C3%25A8s.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1023" data-original-width="821" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS9ArmYhvc39IBasJyVSQB6jnE14vJiUavj5zV86pmSk99WNri262Bz833gz262wEbaZmPQEMZkGBqwlfBOaakotvXLIQ55Xi4UOrw0EnybCzpIFGwz2QS1AnUGN0FsRT-0WqlpwTRfnPv/s320/Agn%25C3%25A8s.jpg" width="256" /></a></div>
<br />
<div style="background: white; line-height: 14.5pt; margin-bottom: 4.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm;">
<span style="color: #1d2129; font-family: "calibri" , "sans-serif"; font-size: large; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: Helvetica; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">Spesso mentre gli uomini stanno a ragionare su come
fare meglio una cosa e renderla al meglio delle proprie possibilità, si scopre
che una donna, quella cosa, l’ha già fatta.<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div style="background: white; line-height: 14.5pt; margin: 4.5pt 0cm 0.0001pt;">
<span style="color: #1d2129; font-family: "calibri" , "sans-serif"; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: Helvetica; mso-hansi-theme-font: minor-latin;"><span style="font-size: large;">Studiando
la storia del cinema non è raro imbattersi nella figura di donne straordinarie
che sono riusciti a guardare avanti molto meglio di tanti uomini della loro
generazione. Poi, chissà perché, vengono ricordate e celebrate molto meno di
quanto non meriterebbero. Qualche giorno fa ricordavo la figura di Alice Guy
Blaché che per prima scoprì le potenzialità che il cinema poteva avere in
ambito narrativo praticamente all’indomani della celebre presentazione dei
fratelli Lumière. Praticamente inventò la sceneggiatura per il cinema ma pochi
la conoscono.<span class="apple-converted-space"> </span><br />
Negli anni Cinquanta il dibattito critico all’interno del cinema francese era
surriscaldato soprattutto grazie ai quei ragazzi terribili che scrivevano sui
Cahiers du Cinéma e auspicavano un cinema nuovo, libero, vero, lontano da quel
“cinema di papà” (come era chiamato con disprezzo) che era ormai diventato il
cinema contemporaneo, soprattutto quello francese. Quei ragazzi si chiamavano
Truffaut, Godard e Rohmer e a partire dal 1959 avrebbero iniziato a dirigere
delle opere che cambieranno per sempre il modo di intendere il cinema. Ma mentre
loro scrivevano articoli di fuoco dalle pagine della rivista francese (che per
ogni cinefilo ha quasi l’autorità di una sentenza della Corte di Cassazione),
una ragazza di ventisei anni, gira nel 1954, una pellicola che a detta di molti
è il primo film della Nouvelle Vague. Quella ragazza si chiamava, o meglio si
chiama, perché per fortuna è ancora viva ed è una splendida donna di
ottantanove anni, Agnès Varda.<br />
Aveva girato con pochissimi mezzi ma tantissima originalità e libertà
espressiva “La pointe courte”. Come protagonista un ancora sconosciuto Philippe
Noiret. Le riprese furono poi montate da un tale che avrebbe contribuito a fare
la storia del cinema ma che allora era ancora all’inizio della sua carriera. Si
chiamava Alan Resnais e ogni amante del cinema sa benissimo quello che ha
realizzato. Resnais guardando il materiale girato da quella giovane ragazza si
permette di fare un paragone con “La terra trema” di Visconti. La Varda non era
però una cinefila militante, lei ricorda che allora non sapeva neanche che a
Parigi ci fosse una cineteca. Quando il film della Varda esce non avrà il
clamore che cinque anni dopo pellicole come “I quattrocento colpi” o “Fino
all’ultimo respiro” porteranno all’esplosione della Nouvelle Vague ma è
impossibile non vedere in quell’opera tutti i segni che i giovani critici dei
Cahiers auspicavano per il “nuovo” cinema. Passarono sette anni da quella
pellicola prima che Agnès Varda riuscisse a realizzare un’altra opera. Era il
1961 e realizza un altro grande film “Cléo dalle 5 alle 7”. Questa volta, dopo
la svolta del 1959, viene acclamata e riconosciuta come un’importante autrice
del movimento. Ma lei con i giovani turchi della nouvelle vague non è che
avesse fatto proprio un percorso in comune. Chi recuperava il film del 1954 la
considerava la vera iniziatrice della nuova onda. Lei scherzando ricorda che
nonostante non avesse ancora trent’anni, la chiamavano la nonna della nouvelle
vague.<br />
Agnès Varda continuerà a girare ancora diversi film nella sua carriera (alcuni
bellissimi come “Senza tetto né legge” o “Garage Demy”) e ancora lo scorso anno riesce a presentare a Cannes un’opera sorprendente per freschezza e originalità
“Visages Villages” girata assieme a uno street artist di trentaquattro anni: un
viaggio attraverso le strade francesi a bordo di un camioncino per immortalare
i volti delle persone incontrate e stimolare un dibattito straordinario sul
tema dell’identità. A Cannes hanno avuto un grande successo e questa
meravigliosa nonna sembra molto più giovane di tanti autori contemporanei.</span><o:p></o:p></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-35682654946769396322018-03-08T16:12:00.000+01:002018-03-08T16:19:31.126+01:00Alice Guy Blaché - La donna che inventò il cinema<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjATBQU5fbddtGdhgTrymVduFVpjo8PulWmSNv00wc4kzkyG9DSqKbv04hsFkCWLwODIS_JliJlDE9nun1AlsNrlU2lashpRDwJQ4ihVUhoBqGNB2UgxQzBwTgAnVGBM0CWkTzK3oNHkadg/s1600/alice.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjATBQU5fbddtGdhgTrymVduFVpjo8PulWmSNv00wc4kzkyG9DSqKbv04hsFkCWLwODIS_JliJlDE9nun1AlsNrlU2lashpRDwJQ4ihVUhoBqGNB2UgxQzBwTgAnVGBM0CWkTzK3oNHkadg/s320/alice.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #1d2129; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #1d2129; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #1d2129; font-size: large; line-height: 115%;">Ho sempre sognato di conoscere
l’identità di ognuno dei trentatré spettatori paganti della serata simbolo per
ogni cinefilo. Quella del 28 dicembre del 1895, quando a Parigi al Salon Indien
del Grand café venne presentato per la prima volta uno spettacolo cinematografico.
Solo trentatré spettatori. Non si poteva certo definire un successo e infatti
la famosa frase sul cinema senza futuro pronunciata da uno dei fratelli<span class="apple-converted-space"> </span></span><span class="textexposedshow"><span style="font-size: large;">(ma qualcuno afferma che a dirla fu il padre, incavolato nero
per lo sperpero di denaro che i figli fecero per inventare la fotografia in
movimento) spiega bene il senso di delusione per quella serata non proprio
affollata.<span class="apple-converted-space"> </span><br />
<span class="textexposedshow">Eppure proprio da quella serata nasce tutto. Molti
sanno che tra il pubblico si trovava George Mélies che rimase sbalordito dal
potere fantastico del cinematografo e si mise subito in moto per unire la sua
attività di illusionista con le possibilità che gli offriva la nuova scoperta. Ma
probabilmente pochi conoscono la storia di Alice Guy Blaché, una ragazza di
ventidue anni che a detta di molti è stata la persona che ha dato la spinta
decisiva per fare diventare il cinema ciò che noi amiamo.</span><br />
<span class="textexposedshow">A quella serata Alice andò per accompagnare il suo
datore di lavoro, l’ingegnere Gaumont che si occupava di apparecchiature
fotografiche e che sarebbe diventato uno dei maggiori produttori
cinematografici francesi. Tra quei dieci cortometraggi, che all’epoca non
potevano durare più di un minuto ciascuno, c’erano quelli famosissimi del treno
che arrivava alla stazione e degli operai che uscivano dalla fabbrica. I
fratelli Lumière erano anch’essi nel campo della fotografia e il cinema
rappresentava per loro un’applicazione avanzata dell’immagine, l’immagine in
movimento appunto. Cinema come documentazione del reale. Ma Alice (e mai nome
fu più adatto) capisce che quella sera per lei fu come entrare nella tana del
bianconiglio. Un universo fantastico si apriva. Chiese timidamente al suo
datore di lavoro di potere usare della pellicola per fare degli esperimenti
cinematografici. Ma per lei fare esperimenti non voleva dire mettere la
macchina da presa per strada per filmare ciò che capitava. Lei voleva preparare
delle scene. Prepararle, cioè scriverle, fare una sceneggiatura diremmo oggi.
Perché con il cinema non potevamo forse anche raccontare delle storie? Semplice
dirlo oggi ma allora non c’era arrivato ancora nessuno. L’ingegnere Gaumont
diede il suo assenso (a patto di non fare questi esperimenti negli orari di
lavoro). Nell’aprile del 1896, quattro mesi dopo quella leggendaria serata, la
Blaché da alla luce il suo primo film “La fée aux Choux” che sarà seguito da
tanti altri lavori.</span><span class="apple-converted-space"> </span><br />
<span class="textexposedshow">A partire da quella data diventò chiaro a molti che
il cinema un futuro lo avrebbe avuto eccome. Le donne non avevano ancora il
diritto di voto ma quella ragazza poco più che ventenne ci aveva regalato
qualcosa di straordinario.</span></span><o:p></o:p></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-67108344575442357452016-07-05T17:05:00.003+02:002016-07-05T22:57:57.871+02:00Abbas Kiarostami (1940-2016)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWoFS4ClzuwGMkSQRVygJSJBwcIrxiHxnDwVfN5KFKesvmB5IQuwoafigAhY8r7NpjsGgutzRTt6ME5wM_bNqQhDSqXbXvg4xpcxKmNq2PEcS03VtCA1iHdunkQPNLWNx-YTYYVW0crRgS/s1600/abb.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWoFS4ClzuwGMkSQRVygJSJBwcIrxiHxnDwVfN5KFKesvmB5IQuwoafigAhY8r7NpjsGgutzRTt6ME5wM_bNqQhDSqXbXvg4xpcxKmNq2PEcS03VtCA1iHdunkQPNLWNx-YTYYVW0crRgS/s320/abb.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
Quando muore un artista che hai apprezzato e amato ci si
sente inevitabilmente più deboli. La speranza che una persona preziosa possa
ancora regalarti delle opere che ti renderanno più agevole l’esistenza si
blocca improvvisamente. Quando ieri sera ho letto della morte di <span style="font-size: large;">Abbas
Kiarostami</span> ho provato quel senso di vuoto che prende quelle volte in cui non ti
senti più sicuro sulla strada da prendere, come se una guida importante ti
girasse improvvisamente le spalle. Ho iniziato a studiare il cinema in modo
serio agli inizi degli anni <span style="font-size: large;">Novanta</span> quando era in pieno splendore la
cinematografia di un paese, quello iraniano, ancora pochissimo conosciuto in
occidente. Kiarostami fu il precursore di quel cinema, colui che aprì la strada
a decine di grandi registi dopo di lui. Il primo commento che ho letto ieri
sera è stato quello di Asghar Farhadi (assieme a Panahi il più grande regista
iraniano contemporaneo) che riconosceva proprio a Kiarostami questo merito. Nel
1987 aveva girato <i><span style="font-size: large;">Dov’è la casa del mio
amico</span></i> che arrivò in Europa qualche
anno dopo ricevendo un grandissimo successo di critica. Si parlava di un cinema
che raccoglieva l’eredità più pura del neorealismo italiano ma a guardarlo bene
i punti in comune non erano proprio tanti. Una volta Kiarostami ebbe a dire che
lo imbarazzavano quei paragoni così importanti. Quando aveva iniziato a fare
cinema non aveva una grossa esperienza da spettatore cinefilo. Spesso alle
domande che lo accostavano a Rossellini o De Sica non sapeva bene cosa
rispondere. In realtà il suo cinema era profondamente figlio della <span style="font-size: large;">cultura
iraniana</span> e poco aveva da spartire con riferimenti altri. C’era la povertà
produttiva, l’uso di attori non professionisti, gli ambienti reali ma con il
neorealismo nessun altro paragone era possibile. L’Iran di quegli anni era un
paese che viveva una situazione molto particolare, la rivoluzione di Khomeini del
1979 aveva rivoltato il paese da tutti i punti di vista. Il cinema nasceva
praticamente da zero e negli anni Ottanta giovani registi che volevano girare
dei lungometraggi si affidavano ai fondi dell’istituto per lo sviluppo
intellettuale dell’infanzia (<span style="font-size: large;">Kanun</span>), a causa di ciò i soggetti erano quasi
sempre riconducibili a storie del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Ma
Kiarostami a partire da quei soggetti imposti riusciva a inserire una poetica e
uno sguardo universale sull’uomo. Come nei film di <span style="font-size: large;">Ozu</span>, quasi sempre ambientati
nel Giappone del secondo dopoguerra, riusciamo a scorgere elementi universali
del nostro essere così Kiarostami con quelle storie minime riusciva a parlare
agli uomini di tutte le latitudini.</div>
<br />
<div class="MsoNormal">
Avere vent’anni e avere conosciuto il suo cinema è stato per
me un privilegio incredibilmente alto. Probabilmente grazie alle sue opere ho
compreso che il cinema non sarebbe stato soltanto una passione ma doveva
diventare qualcosa di più. La fortuna volle che in quegli anni ebbi anche la
possibilità di incontrarlo diverse volte, brevi dialoghi spesso in un inglese o
francese stentato altre volte con l’aiuto di un interprete (quasi sempre il suo
grande amico Babak Karimi residente da anni in Italia). Il festival del cinema
di <span style="font-size: large;">Taormina</span> negli anni Novanta era organizzato da tutto il gruppo di Fuori
Orario. La direzione di Enrico Ghezzi diede a noi giovani studenti universitari
la possibilità di crescere guardando un cinema che ci sarebbe stato difficile
vedere in altri luoghi. La presenza di Kiarostami, così come quella degli altri
grandi registi iraniani come Amir Naderi e Mohsen Makhmalbaf era una
piacevolissima consuetudine. Kiarostami era già il più grande ma anche il più
timido dei tre. La mia speranza era sempre quella di poterlo incontrare per
potere chiacchierare con lui. Era sempre molto disponibile a rispondere a quel
ragazzino abbastanza fanatico che ero in quegli anni. A volte con una pizzetta
in mano (solo pranzo che noi giovani studenti potevamo permetterci) lo bloccavo
al palazzo dei congressi per rivolgergli delle domande sul suo cinema e lui era
sempre pronto a rispondere. Nel frattempo gli rifilavo libri che parlavano di
lui e locandine delle vhs che già allora compravo per farle autografare. Lui
rideva sornione con Amir Naderi accanto stupito del fatto che quei film fossero
usciti in cassetta in Italia. Una volta Naderi mi chiese se avessi visto anche i
suoi film ma purtroppo dovetti rispondere di no, lui ridendo mi disse che
dovevo rimediare al più presto se volevo ancora parlare di cinema con loro.
Naturalmente lo feci. Nel 1997 Kiarostami arrivò alla consacrazione
internazionale grazie alla palma d’oro vinta a Cannes con <i><span style="font-size: large;">Il sapore della ciliegia</span></i>. Il film arrivò in anteprima italiana, naturalmente a Taormina, nell’estate di quell’anno. Fu l’unica volta che riuscì
a permettermi il prezzo del biglietto al teatro greco (gli ingressi al palazzo
dei congressi dove si svolgevano le altre proiezioni erano per nostra fortuna
gratuiti). Ancora una volta fu una folgorazione, ebbi subito chiaro di avere
assistito a un’opera immensa. Quando uscì del teatro mi ritrovai davanti
Kiarostami assieme a Babak Karimi e un uomo con una telecamera. Kiarostami fece
segno a Babak di fermarmi e mi fecero delle domande sul film. Ero assolutamente
incantato e mi dovetti sforzare per parlare in maniera adeguata. Non ricordo
più le parole che usai, poi la telecamera si spense e Kiarostami si avvicinò a
me dandomi la mano e dicendomi semplicemente “<span style="font-size: large;">thank you</span>”. Io mi allontanai in
fretta perché avevo iniziato a piangere come un bambino per tutte le emozioni
che avevo provato quella sera. Qualche mese dopo ricevetti una telefonata da un’amica
di Bologna che mi diceva di avere visto la mia intervista usata come trailer
del film (in quegli anni si usava, per le presentazioni di certi film,
raccogliere le interviste dopo la proiezione della prima italiana). Io non
riuscì purtroppo mai a vederla. Sono passati quasi vent’anni da quel giorno, il
cinema per me è diventato anche un lavoro, Kiarostami ha fatto diversi
altri film, altri grandi altri meno riusciti. Dal 2005 (dopo l’arrivo del
governo di Ahmadinejad) ha iniziato a girare film all’estero senza però
riuscire a essere il grande regista di prima. Ma ha continuato a essere uno dei più
grandi maestri del cinema. Gli spezzoni dei suoi film, i piccoli segreti che mi
confidava in quei dialoghi rubati sono argomento fisso delle mie lezioni di
cinema. Ogni anno so che dopo la lezione sull’utilizzo del campo lungo al
cinema (quando faccio vedere il finale di <i><span style="font-size: large;">Sotto
gli ulivi</span></i>) qualcuno dei miei allievi mi chiederà i film di Kiarostami e poi
mi dirà di essersene innamorato. Io allora sento di avere fatto bene il mio
lavoro. Adesso che lui non c’è più mi sento più solo ma continuerò a parlare
del suo cinema, delle sue opere, della sua grandezza e della sua <span style="font-size: large;">umanità</span> e i
miei ricordi con lui saranno ancora più preziosi. <i>Thank you Abbas</i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><br /></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i>Sergio Barone</i></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-68672312835957854112015-11-08T18:30:00.000+01:002015-11-08T22:10:45.579+01:00Alain Delon - Ottant'anni di un uomo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEKKOC3fhdAy80qWrkvVIC3gsJlcc-iQ-BHgB6C_xRuyPcxKOyk43I6qXQf4ALXkrHkBsk4qG6QU9-h0AQLIF7wRLGLA_PobAGZG8XNCC2yd-02GcPoreSoI1s1QiMjPvlU5-DrR0ABHJo/s1600/Alain+Delon.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="176" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEKKOC3fhdAy80qWrkvVIC3gsJlcc-iQ-BHgB6C_xRuyPcxKOyk43I6qXQf4ALXkrHkBsk4qG6QU9-h0AQLIF7wRLGLA_PobAGZG8XNCC2yd-02GcPoreSoI1s1QiMjPvlU5-DrR0ABHJo/s320/Alain+Delon.png" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Quando nel 1990 <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Jean Luc Godard</span>
lo scelse come protagonista per un suo film sembra che giustificò questa sua
scelta dichiarando “avevo bisogno di uno che non sapesse recitare…”. Certamente
solo a uno come Godard, e a pochissimi altri, si poteva permettere di lasciare impunita una
simile affermazione così netta nei confronti di una vera e propria <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">icona</span> del cinema
francese. Eppure andando a spulciare tra i giudizi dei critici che nel corso
degli anni lo hanno messo al centro delle loro analisi non è raro imbattersi in
giudizi non troppo lusinghieri nei suoi riguardi. Sicuramente il fatto di avere
interpretato tantissimi film e non tutti di alta qualità (destino comune per
tanti grandi attori), ha contribuito a rendere meno evidente la sua bravura.
Possedere poi una faccia come la sua, che ha fatto perdere la testa a
generazioni di donne, non aiuta chi mal concilia la bellezza fisica con la <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">bravura</span> (e anche
Marilyn ne sapeva qualcosa).</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La verità, come spesso accade,
sta nel mezzo. Delon è stato, ed è, un grandissimo interprete cinematografico
ma solo se modellato dalle mani di un autore sensibile che sapesse tirare fuori
dalla sua figura il meglio. Pochi ci sono riusciti ma ogni volta che questo
accadeva si compieva il <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">miracolo</span>. Da giovane ragazzo appassionato di cinema, ma
ancora acerbo nel gusto, vidi diversi film con Alain Delon, erano soprattutto
quelli più commerciali come <i>Zorro</i> o <i>Airport ’80</i> che mi davano l’impressione
del solito divo lontano e finto, possibile nella sua esistenza soltanto se
impresso nella pellicola cinematografica. Non vedevo l’uomo dietro
l’interprete. Questo successe per diverso tempo. Poi la mia evoluzione di
spettatore mi fece scoprire <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">capolavori</span> come <i>Rocco
e i suoi fratelli</i> di Visconti o <i>Mr.
Klein</i> di Losey. Ecco che dietro quella maschera di bellezza dell’attore
Delon cominciavo a vedere qualcosa di più. Quegli occhi blu ma glaciali dove
rischiavi di venire travolto da un’incontrollata cascata di emozioni. Quella
malinconia di fondo che ne faceva un interprete da non usare in ruoli brillanti
o da commedia senza perderne irrimediabilmente qualcosa di importante. Poi, in
un pomeriggio d’estate abbastanza anonimo di una ventina d’anni fa, arriva il
miracolo a cui mi riferivo. Guardo <i><span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La prima notte di
quiete</span></i> di Valerio Zurlini, grandissimo autore italiano purtroppo non
considerato come meriterebbe. Delon interpreta un professore di liceo di Rimini
(una città lontana anni luce dall’immaginario felliniano); vestito con un
maglione verde e un <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">cappotto
color cammello:</span> il cinema compie la magia di rendere eterno un
personaggio. Ancora oggi ogni volta che penso a Delon lo immagino vestito con
quel cappotto, quello sguardo malinconico di chi alla vita non ha più molto da
chiedere ma, nonostante questo, non rinuncia a essere vivo. Con disillusione
certo, con la consapevolezza che per quanti sforzi riesci a fare la gioia ti
scivolerà sempre tra le dita come la pioggia del cielo. Fu grazie a quel film
che mi legai all’attore Delon in maniera fortissima. Cominciai a vedere tutti i
suoi lavori, anche i meno riusciti per ritrovare, fosse anche per un attimo,
quella strana luce dei suoi occhi, quella <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">malinconia</span> di chi ha tutto vissuto e
guarda il mondo con una consapevolezza fuori dall’ordinario. Naturalmente anche
l’uomo Delon cominciava a interessarmi, quello sguardo era solo frutto della
sua capacità interpretativa o era un suo segno distintivo personale? Alla fine
degli anni Cinquanta, tra le tante storie d’amore fra divi del grande schermo, quella
tra Alain Delon e <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Romy
Schneider</span> fu tra le più celebri. La grandissima attrice venuta alla
ribalta interpretando la principessa Sissi ma confermatasi in futuro come una
delle più importanti interpreti del Novecento (personalmente la ritengo allo
stesso livello della Bergman e della Magnani) e musa dei più importanti registi
francesi degli anni Sessanta e Settanta. La storia tra Delon e la Schneider
durò circa cinque anni ma i due rimasero amici per tutta la vita. Una volta la
Schneider dichiarò che <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">una storia d’amore</span> rimane unica quando ci si continua a
chiamare, a lanciarsi dei richiami per non perdersi mai. Subentrano altre
storie, altri tradimenti, figli, felicità con altri ma una sola rimane la
storia d’amore della vita. Continuò dicendo che Delon rimaneva l’unica persona
sulla quale poteva contare, l’unico che sarebbe accorso al suo primo richiamo
aggiungendo che però lui non le aveva mai scritto nemmeno una lettera ma solo
biglietti. Il destino fu molto duro con la Schneider, la vita le tolse un
figlio ancora adolescente e da quella perdita lei non riuscì mai più a riprendersi
tanto che anche lei morì dopo meno di un anno. La vita prende tante altre
strade e sia la Schneider che Delon avevano costruito altre esistenze ma la
notizia della morte del suo antico amore fu devastante. Quella sera sul letto
di morte della Schneider, Delon trascorse parecchie ore, volle restare solo con
lei, le scattò delle foto che porta sempre con sé e non andò al suo funerale;
il giorno seguente alla sua sepoltura rimase sulla sua tomba per molte ore.
Quella notte, mentre l’accudiva sul letto di morte, le scrisse la sua unica <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">lettera d’amore</span>
che ancora oggi riesce a commuovermi. Questi sono alcuni passi:</div>
<div style="background: white; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-line-height-alt: 9.0pt; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<div class="MsoNormal">
<i>“Ti guardo dormire.
Sono accanto a te, sei vestita di una lunga tunica nera e rossa, ricamata sul
petto. Sono fiori, credo, ma non li guardo. Ti dico addio, il più lungo degli
addii, mia Puppelé . È così che ti chiamavo, "Piccola bambola" in
tedesco. Non guardo i fiori ma il tuo viso e penso che sei bella, e che forse
non lo sei mai stata così tanto. Per la prima volta nella mia vita - e nella
tua - ti vedo serena, in pace. Come sei calma, come sei bella. Sembra che una
mano abbia dolcemente cancellato dal tuo viso tutte le angosce”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i>“Ti guardo dormire ,
dicono che sei morta. Penso a te, a me, a noi. Di che cosa sono colpevole? Ci
si pone una domanda simile davanti una donna che si è amata e che si ama
ancora”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i>“Ti guardo dormire .
Ieri ancora eri viva. Era notte. Appena rientrati a casa hai detto a Laurent
"va a dormire, vengo tra poco. Resto un po' con David ascoltando
musica". Facevi così ogni sera... Volevi restare sola con il ricordo di
tuo figlio morto, prima di andare a dormire”</i></div>
<div class="MsoNormal">
<i>“Non verrò in chiesa
né al cimitero , ti chiedo perdono perché sai che non riuscirò a proteggerti
dalla folla, da questo tormento così avido di "spettacolo" che ti
faceva tremare. Verrò a trovarti il giorno dopo, e noi saremo soli. Mia
Puppelé, ti guardo ancora e ancora. Voglio divorarti di sguardi. Riposati. Sono
qui, vicino. Ho imparato un po' di tedesco, grazie a te. Ich liebe dich . Ti
amo. Ti amo, mia Puppelé”.<o:p></o:p></i><br />
<i><br /></i></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Buon ottantesimo compleanno.</div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-75638265529401426862015-11-01T16:09:00.000+01:002015-11-01T16:09:41.754+01:00Le origini del cinema noir<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgy6_dH3ZRqQv2XE4H-7ig7OcfK7frHJt5-yD6qnpR5MCmy2X0Nm20ahSV52p0pmwsKLrAH5C5gGOiZORSyag66bTeAqacjk8fu-Ai4TFtd9eRBC1-IIXkTa0XLEh7tgWj_OUHnu7KcMyih/s1600/noir.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="233" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgy6_dH3ZRqQv2XE4H-7ig7OcfK7frHJt5-yD6qnpR5MCmy2X0Nm20ahSV52p0pmwsKLrAH5C5gGOiZORSyag66bTeAqacjk8fu-Ai4TFtd9eRBC1-IIXkTa0XLEh7tgWj_OUHnu7KcMyih/s320/noir.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Quando, all’indomani della
seconda guerra mondiale, arrivarono in Francia alcune opere cinematografiche
che sembravano essere unite da una identica <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">atmosfera narrativa</span>, due critici
francesi Nino Frank e Jean-Pierre Chartier scrissero un articolo che
probabilmente neanche loro immaginavano potesse dare il nome a uno dei generi
cinematografici più affascinanti della settima arte. L’articolo aveva per
titolo <i>Les américains font aussi des film
</i><i><span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">“noir”</span> </i>(Anche gli americani fanno film
“noir”). I film americani ai quali i due critici si riferivano erano dei veri e
propri capolavori del cinema statunitense degli <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">anni Quaranta</span>: <i>Il mistero del falco, La fiamma del peccato, L’ombra del passato, Il
postino suona sempre due volte</i>. Le storie di violenza, le atmosfere
notturne e i personaggi spesso <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">problematici e malinconici</span> che stavano al centro di quei
film, e di tanti altri che furono prodotti negli Stati Uniti a partire dal
1941, facevano ricordare ai due critici francesi il mondo raccontato nei famosi
film francesi degli anni Trenta conosciuti sotto l’etichetta di <i>realismo poetico francese</i> (quelli di
Carné e Prevert per citare i più celebri). Anche in quelle pellicole infatti
l’atmosfera <i>noir</i> era indispensabile
per comprendere quell’universo fatto di personaggi che vivevano ai margini. Il
noir diventava così un termine pratico e veloce per comprendere la realtà raccontata
in quelle opere fino a diventare un <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">genere cinematografico</span> a se stante come il western,
la commedia o il musical.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il noir americano aveva però
delle peculiarità del tutto proprie che, pur non organizzandosi mai in scuola
vera e propria (come fu per l’espressionismo in Germania), lo rendeva
assolutamente originale nel panorama cinematografico mondiale . Per comprendere
questo dobbiamo fare un piccolo passo indietro e guardare alla società
statunitense degli anni Trenta, dominata dalla crisi economica post 1929 e
dalla violenza urbana che tanto bene era stata raccontata nel cosiddetto filone
dei <i><span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">gangster movie</span></i> (a questo filone
appartengono capolavori come <i>Scarface</i>
o <i>Piccolo Cesare</i>). Il modo di
guardare la società in questi film era diretto, crudo; probabilmente per la
prima volta la società americana raccontava se stessa mettendo al centro il
lato oscuro della propria anima. Questa sensibilità artistica non era esclusiva
del cinema ma si era sviluppata anche in narrativa con la celebre <i><span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">letteratura hard-boiled</span></i>. Autori come Dashiel
Hammett e Raymond Chandler avevano liberato le storie di crimini dalle
ripetitive strutture dei gialli alla Agatha Christie dove in ogni racconto l’obiettivo
unico era trovare l’assassino. Adesso si trattava di raccontare un paese, le
sue difficoltà e gli uomini che lo abitavano. Le violenze, gli intrighi, le patologie
del mondo narrato nei noir, sia in letteratura che al cinema, divennero uno
degli strumenti più affascinanti per parlare dell’America di quegli anni. Il cinema
disponeva inoltre di altri vantaggi di non poco conto. Hollywood aveva avuto
negli anni Trenta un grandissimo afflusso di professionalità del cinema europeo
in fuga dall’Europa sull’orlo del conflitto. Soprattutto dalla Germania nazista
un grande numero di registi, attori, direttori della fotografia avevano portato
negli Stati Uniti un altissimo bagaglio di arte e professionalità che si
vennero ad unire alla grande organizzazione degli studios e alla loro non
indifferente disponibilità economica. </div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si può affermare quindi che il noir
classico statunitense nasce dall’unione di forze rappresentata dalla capacità
spettacolare dei produttori americani con la sensibilità artistica europea. In ambito
più strettamente tecnico il noir è la fusione del gangster movie americano
degli anni Trenta, <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">dell’espressionismo
tedesco</span> degli anni Venti e del <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">realismo poetico francese</span> dei primi anni Trenta. La
violenza urbana e il mondo cittadino dei film americani, la fotografia quasi
metafisica dei film tedeschi con il loro carico di angoscia e i personaggi
malinconici e disillusi del cinema francese; ecco come dall’unione di tre
cinematografie distanti tra loro poté nascere il noir americano. Parlare di
come si sia poi evoluto fino alla fine degli anni Cinquanta (per convenzione si
fa terminare il genere con L’infernale Quinlan di Orson Welles del 1958)
richiederebbe una trattazione molto ampia. Ciò che di certo abbiamo è che, a
partire da quell’investigatore privato di nome Sam Spade interpretato dal
leggendario <span style="color: #00b050; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Bogart</span>
ne <i>Il mistero del falco</i> di John
Huston, il cinema non sarebbe più stato lo stesso.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sergio</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Scena finale "Il mistero del falco" - 1941</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/LAfIRYDBPnU/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/LAfIRYDBPnU?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-16469984872958279162014-09-22T20:05:00.001+02:002014-09-22T20:05:34.131+02:00The wolf of Wall Street - Martin Scorsese<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2ZonbHI6fcSQa9_QK2XNCUuzQviQ4PkvCTQXWyhcqd8AMd-GkbmS4Lxedz0gR9Wq290UXh4tawf8XKbFBeZsvG-dF20o4Og2F9X1Tyjsc0f8CXFxNZ3aZLNAjukukI5sXy4sZ6mNwxtIZ/s1600/45068.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2ZonbHI6fcSQa9_QK2XNCUuzQviQ4PkvCTQXWyhcqd8AMd-GkbmS4Lxedz0gR9Wq290UXh4tawf8XKbFBeZsvG-dF20o4Og2F9X1Tyjsc0f8CXFxNZ3aZLNAjukukI5sXy4sZ6mNwxtIZ/s1600/45068.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Anche se Martin Scorsese non girasse più film avrebbe già
guadagnato il suo posto di rilievo all’interno della storia del cinema. Pochi
come lui hanno saputo raccontare la vita della metropoli americana moderna. Ci
sono registi che vengono subito in mente se si pensa a un particolare stato d’animo.
Pensiamo a Bergman quando riflettiamo sui tormenti dell’anima o ci viene in
mente Fellini tutte le volte che parliamo dei sogni. Ci sono poi altri registi
legati indissolubilmente a una città, la Parigi di Truffaut o la New York di
Woody Allen ma anche quella di Scorsese. Non una New York da piani alti ma
quella di strada, abitata non da alienazioni e nevrosi come nel cinema alleniano
ma da sofferenze e disagi molto più fisici. Da questa New York da marciapiede
nascono grandi capolavori come <i>Mean
Streets</i>, <i>Taxi driver</i> o <i>Toro scatenato</i>. Scorsese fino alla metà
degli anni Novanta ci ha regalato grandissime opere cinematografiche ma, così
come è successo per l’altro grande regista newyorchese, ad un certo punto
sembra avere smarrito la lucidità dei momenti migliori iniziando un processo
involutivo che solo a sprazzi ci ha permesso di godere della sua bravura. Così
ogni volta che guardo un nuovo Scorsese mi concentro con la speranza che il
vecchio zio Marty riesca ancora a colpirmi duro con la sua arte. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Avevo grandi aspettative con <i>The wolf of wall street</i>, molta critica entusiasta, un Leonardo Di
Caprio a detta di tutti in stato di grazia ma, ancora una volta (purtroppo),
termino la visione con un bel po’ di amaro in bocca. Scorsese continua a girare
in maniera impeccabile, il ritmo delle sue sceneggiature è di altissima scuola
ma manca qualcosa di importante, probabilmente la più importante nel mio
giudizio di un’opera, il suo essere <i>necessaria</i>.
Molti hanno amato questa pellicola e in effetti il racconto che Scorsese fa
della capitale mondiale della finanza con i suoi operatori senza scrupoli, è di
pregevolissima fattura. Scorsese gira con un cinismo estremo, i personaggi sono
tutti senza speranza di redenzione ma quando crei un’opera non provando empatia
per nessuno dei tuoi personaggi giungi inevitabilmente a un livello di distacco
troppo estremo per farla diventare sincera (e quindi necessaria). Flaubert
diceva che madame Bovary era lui e probabilmente dietro lo sguardo allucinato
di Travis Bickle in <i>Taxi Driver</i> c’era
tanto del suo autore. Ma dietro la maschera feroce di Jordan Belfort,
interpretato a onor del vero da un Di Caprio strepitoso, nessun raffronto è
possibile. Non che per fare un film sul nazismo bisogna sentirsi un po’ Hitler
ma se in una narrazione cinematografica
è totalmente assente la parte empatica arriva facilmente il sospetto che l’opera
sia stata scritta a tavolino con esigenze più di nature commerciali che non
poetiche.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un abisso tecnico distanzia lo Scorsese di <i>The wolf of Wall Street</i> da quello ancora
acerbo stilisticamente di <i>Mean Streets</i>
ma quanta voglia in più in quel film. Voglia di raccontare il tuo ambiente, le
tue radici, la tua educazione. Questo manca nell’ultimo Scorsese, voglia di
raccontarci il suo mondo, con le sue contraddizioni e le sue paure. Senza paura
di raccontare storie in qualche modo simili, perché i grandissimi registi non possono
temere di parlare di loro stessi, dietro la loro vita e la capacità che hanno
di filtrarla attraverso l’arte nascono i capolavori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer:</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<object width="320" height="266" class="BLOGGER-youtube-video" classid="clsid:D27CDB6E-AE6D-11cf-96B8-444553540000" codebase="http://download.macromedia.com/pub/shockwave/cabs/flash/swflash.cab#version=6,0,40,0" data-thumbnail-src="https://ytimg.googleusercontent.com/vi/hzG93_Mo-ys/0.jpg"><param name="movie" value="https://youtube.googleapis.com/v/hzG93_Mo-ys&source=uds" /><param name="bgcolor" value="#FFFFFF" /><param name="allowFullScreen" value="true" /><embed width="320" height="266" src="https://youtube.googleapis.com/v/hzG93_Mo-ys&source=uds" type="application/x-shockwave-flash" allowfullscreen="true"></embed></object></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-70385830012586619202014-09-05T14:29:00.001+02:002014-09-05T14:34:04.978+02:00Pasolini - Abel Ferrara<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgatMK7GMcWND5gJKwc8jIuArpYXteGdGf-Z5PRAQUE6ceBTKO7fqWV-8696Pa1V14Xr48U206ubwhItazjyRckMuITu6ZxedeVQqGMEKebPBdf0BCme3ifdI2-zHb3cOHwx4ZbeoGh1fXy/s1600/pasolini.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgatMK7GMcWND5gJKwc8jIuArpYXteGdGf-Z5PRAQUE6ceBTKO7fqWV-8696Pa1V14Xr48U206ubwhItazjyRckMuITu6ZxedeVQqGMEKebPBdf0BCme3ifdI2-zHb3cOHwx4ZbeoGh1fXy/s1600/pasolini.jpeg" height="206" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">L'atmosfera della Mostra del Cinema di
Venezia è di una bellezza indescrivibile. Una piccola isola come il
Lido gremita di gente fino a mezzanotte inoltrata, tutti per guardare
film dalla mattina alla sera. I più fortunati, quelli che riescono a
ottenere un pass da giornalista, passano le loro giornate dentro le varie sale, guardando dai tre ai nove film al giorno. Io, coi miei pochi
spiccioli, punto sul film che mi sembra più interessante e ho la
segreta speranza di assistere a un capolavoro memorabile, così da
poter dire in futuro “eh, io c'ero!”. Peccato che non sia stato
questo il caso di Pasolini di Abel Ferrara.</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Quando ho letto che Ferrara presentava
un film su Pasolini ho pensato a film come <i>King of New York</i>,
<i>Fratelli</i>, o <i>Il cattivo tenente</i> (quello vero, con Harvey Keitel) e ho
creduto che poteva venirne fuori un film davvero superbo. Tuttavia,
malgrado l'innegabile talento di Willem Dafoe, che nelle movenze e
negli sguardi è di una bravura disarmante, il film risulta
convincere poco, restituisce poco o niente del genio del vero
Pasolini.
</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Impedimento più grosso di tutti è
stato quello linguistico. Probabilmente è un mio limite non riuscire
ad accettare un Pasolini che parla un inglese americanaccio,
probabilmente deficito io di fantasia per non poter accettare la
cerchia di amici e familiari che parla in italiano fra di loro e in
un inglese da Supermario quando si rivolge al Willem-Pierpaolo, ma a
neanche venti minuti dall'inizio avevo già mal di testa. Scusate, ma
non riesco proprio a trovare la credibilità di un Pasolini che
accoglie l'amica Laura Betti dicendole “how you doin'?”. </span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Ho voluto sperare il più possibile, ma
quando ho visto Scamarcio interpretare il Ninetto Davoli di una
volta, ho capito che proprio non c'era niente da fare.
</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Ferrara si è voluto concentrare nelle
ultimissime giornate della vita del poeta bolognese, riprendendo il
suo tragico omicidio lasciando poco spazio all'immaginazione. Le
immagini forti e “scandalose” dominano il film dall'inizio alla
fine, sicuramente un omaggio al coraggio con cui Pasolini girò scene
che scandalizzarono ogni strato della società, dentro e fuori il
paese. A differenza del grande maestro però, l'allievo Ferrara si
dimostra poco capace di creare quella necessità narrativa che sta
dietro alle immagini forti, senza la quale sono solo immagini fini a
sé stesse. “Forti” solo per modo di dire, solo a livello visivo.
</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Peccato, perchè Pasolini era uno di
quei registi che sapeva sconquassare, che non girava un'orgia solo
perchè è una scena che richiama l'attenzione. Il suo era un cinema
di denuncia, un cinema politico, necessario. Pochi come lui hanno
saputo cogliere, con la sua stessa razionalità, gli aspetti della
società in cui viveva e denunciarli con violenza in libri, poesie e
film.</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Rendere omaggio a una figura tanto
spessa è un'idea tanto giusta quanto ardua, e, ahimé, non mi sento
affatto di dire che Ferrara sia stato all'altezza di reggere il peso
del compito.
</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"> Peccato davvero.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Robin</span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-7384991426450221532014-05-07T16:43:00.000+02:002014-05-07T16:43:07.308+02:00Oh boy, un caffè a Berlino - Jan Ole Gerster<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiUdx7PKB4om2viMfTQI_l-RhlP0jisAB1fmkhEBYZJm7HY4BQKH_PmSY4TAXinS_aLG3akcMddP6xOKDu3WoO35B7bqoFEXaVuBEKiAZaZ2fVHVcSyfOS-vws4kopVjlpqukGe-4Xgv9P/s1600/oh-boy---un-caffe-a-berlino_cover.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiUdx7PKB4om2viMfTQI_l-RhlP0jisAB1fmkhEBYZJm7HY4BQKH_PmSY4TAXinS_aLG3akcMddP6xOKDu3WoO35B7bqoFEXaVuBEKiAZaZ2fVHVcSyfOS-vws4kopVjlpqukGe-4Xgv9P/s1600/oh-boy---un-caffe-a-berlino_cover.jpg" height="320" width="223" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E’ una bella sorpresa vedere un’opera prima di un regista
tedesco e trovarsi catapultato in piena atmosfera nouvelle vague anni Sessanta.
<i>Oh Boy – Un caffè a Berlino </i>di Jan
Ole Gerster del 2012 è uno di quei film
che, pur non facendoti gridare al capolavoro, riesce a dimostrare come si possa
fare cinema intelligente anche con un budget ridotto a patto di avere delle
idee di sceneggiatura di buon livello.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Una giornata nella vita di un ragazzo all’interno di una
Berlino non turistica tra incontri casuali e momenti di crescita. Niko è un
ragazzo di poco più di vent’anni, confuso sulle cose da fare come spesso solo a
quell’età riesci ad essere. Ha lasciato gli studi ma senza confessarlo al padre
(che continua a versargli l’assegno mensile), non riesce ad avere una vita
sentimentale seria e a chi gli chiede se ha un po’ di tempo risponde di avere
mille cose da fare. In realtà l’unica cosa che cerca di fare è prendere un
caffè ma qualcosa si mette sempre di traverso impedendogli il soddisfacimento
dell’unico desiderio reale che ha. I personaggi che Niko incontra sono a volte
drammatici a volte divertenti ma sembrano avere tutti un punto in comune: sono
troppo presi dalle loro esistenze per confrontarsi con lui che, di contro, non
ha tanta voglia di aprirsi con qualcuno. Ogni vita scivola via tra vecchi
ricordi diventati ossessioni, momenti di riflessione che non hanno mai fine e
gesti importanti che si rimandano sempre. Tutto è narrato con una leggerezza
davvero difficile trovare in un regista all’inizio (solitamente i giovani
autori fanno a gara nel rendere le loro storie pesantissime elucubrazioni sui
destini dell’umanità). Gerster segue la giornata di Niko con discrezione mentre
il ragazzo si lascia trasportare da un quartiere all’altro, ritrovando antiche
compagne di scuola o facendo amicizia con la nonna di uno spacciatore di droga.
Ma anche quando si scontrerà con il padre, che scopre l’abbandono degli studi
da parte del figlio, il tono narrativo
non cambia. Si parla di temi (anche) importanti con leggerezza e con un
sottofondo jazz che accompagna gradevolmente tutto il film.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Niko rispecchia una stagione della vita molto spessa
carica di incertezze, di dubbi, di pensieri un po’ folli ma con la certezza che
tanto ci sarà del tempo per ritornare sui propri passi. Il racconto di una
libertà data dalla non assunzione di responsabilità, anche questo è il fascino
dei vent’anni. E’ la libertà narrativa dell’autore diventa la diretta
conseguenza dei primi film dei registi della nouvelle vague, Niko è il fratello
minore dell’Antoine Doinel truffautiano ma anche del protagonista del <i>Segno del leone</i> di Rohmer o del Belmondo
godardiano di <i>Fino all’ultimo respiro</i>.
Un bell’esordio che speriamo non rimanga un caso isolato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer:</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<object width="320" height="266" class="BLOGGER-youtube-video" classid="clsid:D27CDB6E-AE6D-11cf-96B8-444553540000" codebase="http://download.macromedia.com/pub/shockwave/cabs/flash/swflash.cab#version=6,0,40,0" data-thumbnail-src="https://ytimg.googleusercontent.com/vi/KIeoc_1VEk4/0.jpg"><param name="movie" value="https://youtube.googleapis.com/v/KIeoc_1VEk4&source=uds" /><param name="bgcolor" value="#FFFFFF" /><param name="allowFullScreen" value="true" /><embed width="320" height="266" src="https://youtube.googleapis.com/v/KIeoc_1VEk4&source=uds" type="application/x-shockwave-flash" allowfullscreen="true"></embed></object></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-16809646517610840832014-05-02T23:20:00.000+02:002014-05-12T00:01:06.885+02:00L'intrepido - Gianni Amelio<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib4oK6wMXzwGkuqPG49gRfhd-dYhggT_Cj9JyDQqeI0-V0XcBbj2ums1Diw8cmMgQRfJc-ev1m4GPheoa9tMvXKRFQtjiChLvlWriLeg5aYI0bOM-FUyjMRKlusyawjEVl018TE3Sx3L2y/s1600/locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib4oK6wMXzwGkuqPG49gRfhd-dYhggT_Cj9JyDQqeI0-V0XcBbj2ums1Diw8cmMgQRfJc-ev1m4GPheoa9tMvXKRFQtjiChLvlWriLeg5aYI0bOM-FUyjMRKlusyawjEVl018TE3Sx3L2y/s1600/locandina.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I film di Gianni Amelio sono stati importanti nella mia
formazione giovanile soprattutto per consolidare l’idea di un cinema di forte
impegno morale. Un cinema che non si tirava mai indietro nel raccontare temi
importanti come nel bellissimo <i>Porte
aperte</i>, tratto dal romanzo di Sciascia, del 1990 (con una delle ultime e
più grandi interpretazioni di Gian Maria Volontè). E poi film come <i>Il ladro di bambini </i>o <i>Lamerica</i>, opere dove la lettura del
presente avveniva in maniera coinvolgente e con una partecipazione emotiva
altissima. Il suo cinema era (ed è) però lontanissimo parente di quel cinema
impegnato alla Ken Loach che si è abituati a usare come metro di paragone.
Amelio ha sempre privilegiato l’aspetto intimo, poetico per raccontare la
società. Quasi mai dalle sue opere esce fuori un grido di rabbia piuttosto si è
portati a una sorta di riflessione morale sulla natura dell’uomo. Poca analisi
sociale o studio sui meccanismi del potere ma grande attenzione agli aspetti personali
dell’essere umano.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pur apprezzando i suoi film non ne sono però mai stato
interamente coinvolto, sentivo quasi sempre un di più di paternalismo retorico
che rendeva le storie inutilmente più ampie di quello che avrebbero dovuto
essere. Preferivo di gran lunga i suoi documentari dove la grande capacità di
Amelio di osservare in profondità l’animo umano conosceva un limite preciso che
gli proibiva di illustrare in maniera didattica il suo punto di vista. <i>La terra è fatta così</i> un
suo lavoro del 2000 che racconta tramite semplicissime sequenze di interviste,
i ricordi dei sopravvissuti al terremoto dell’Irpinia del 1980, è una di quelle
opere che non mi stancherei mai di guardare (e di consigliare).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Purtroppo con l’età succede che certe tendenze si
accentuino e diventino ancora più ingombranti rispetto al passato. Guardando il
suo ultimo film <i>L’intrepido</i> ho avuto
conferma di ciò. Nel cercare di raccontare il disastro sociale ed economico del
nostro paese degli ultimi anni Amelio sceglie una via quasi fiabesca. Il protagonista,
Antonio, è un uomo di mezza età che non trova niente di meglio da fare per
andare avanti che fare il rimpiazzo. Sostituendo per qualche ora o per qualche
giorno qualcuno che non può presentarsi a lavoro, Antonio passa tra i mestieri
più disparati e la sua figura è praticamente quella di un lavoratore invisibile.
Il grado più alto della precarietà e dello sfruttamento professionale. Ma
Antonio, un Albanese non molto convincente, vive tutto questo con una serenità
e una positività che nelle intenzioni dell’autore vorrebbe probabilmente essere
un omaggio a una umanità che non si abbatte ma si risolve invece in una
superficialissima rappresentazione di un presente che meriterebbe ben altri
strumenti narrativi per essere narrato. La vita del protagonista scorre tra
lavori casuali e rapporti interpersonali (con il figlio e con una donna
conosciuta lavorando) senza mai decollare. A cosa dovrebbe portare questa
positiva predisposizione d’animo se non a una, ancora più feroce, tendenza allo
sfruttamento da parte di un mercato del lavoro sempre più schiavista? <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Dopo avere visto il film leggo una intervista di Amelio
in cui afferma che voleva raccontare il mondo del lavoro come fece Chaplin. Il
cerchio si chiude. La chaplinizzazione dell’umanità è servita solo ad
arricchire il creatore di questa straordinaria beffa artistica e a fare stare
ingenuamente meglio chi aveva poco tempo per andare a fondo nello studio dei caratteri
umani accontentandosi della consolante immagine dell’uomo buono. Non credo che
di illusioni buoniste abbia bisogno l’Italia di oggi quanto piuttosto di sonore
incazzature e prese di coscienza ma purtroppo nel nostro paese i Ken Loach sono
merce rara.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-6667086855438313522014-04-26T14:22:00.000+02:002014-04-26T14:22:35.106+02:00L'angelo Azzurro - Josef Von Sternberg<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidJtleA3yxoH-MxW-oGDo0jRJlgsC5PmEMq9Pr6-hBLPOeQjYjCGXfFc6G3GmCOAH0DFTS4KSIrwMgu4jEy4FrZodpXLmu9qHsGGGadWofY78rCIrrB79YgoTNcndkz0ZegIbLOHoYnAHO/s1600/locandinapg5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidJtleA3yxoH-MxW-oGDo0jRJlgsC5PmEMq9Pr6-hBLPOeQjYjCGXfFc6G3GmCOAH0DFTS4KSIrwMgu4jEy4FrZodpXLmu9qHsGGGadWofY78rCIrrB79YgoTNcndkz0ZegIbLOHoYnAHO/s1600/locandinapg5.jpg" height="320" width="212" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Non sono moltissimi i film che possano vantare delle
scene entrate nell’immaginario collettivo anche per i non appassionati di
cinema. Spesso queste scene sono più legate all’immagine della star ripresa che
al valore artistico dell’opera. Quando però i due casi si incontrano ecco che
rivedersi, di tanto in tanto, un vecchio film diventa un godimento sia per gli
occhi che per il cervello.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’angelo
azzurro</span></i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, capolavoro tedesco del 1930, è uno di quei film che non
mi stanco mai di rivedere. I motivi che di volta in volta mi possono spingere a
rimettere la pellicola sono sempre diversi, inutile negare che il fascino di
Marlene Dietrich non sia quasi sempre l’impulso principale. Quando con la sua
splendida voce inizia a cantare <i><span style="background: white; color: #252525;">Ich
bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt </span></i><span style="background: white; color: #252525; mso-bidi-font-style: italic;">(o <i>Falling in love again </i>nella
versione in lingua inglese) tocchi con mano il miracolo con cui il grande
cinema riesce a strapparti da qualsiasi pensiero per accompagnarti in una
dimensione perfetta. Allo stesso modo la voce di Lola Lola si eleva da quel
malfamato locale di una Berlino che sta per piombare nei suoi anni più bui per
arrivare a toccare le corde del cuore del professor Rath, serioso insegnante
del prestigioso ginnasio cittadino. L’interpretazione che Emil Jannings (in
assoluto uno dei più grandi attori della storia del cinema) da di questo
personaggio è assolutamente grandiosa. Jannings riesce a mettersi sulle spalle
l’intera metamorfosi di un mondo che sta rapidamente disintegrandosi. Il
decadimento della vecchia borghesia sta per lasciare spazio alla frenesia folle
del nazismo e il professor Rath rovinato dall’amore per l’affascinante Lola
Lola riesce a spiegarci come un libro di storia quello che stava per avvenire
in Europa in quegli anni.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #252525; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">E’
probabilmente uno degli ultimi grandi momenti del cinema tedesco prima della
diaspora iniziata con l’avvento del terzo Reich (ci sarà ancora quel immenso
capolavoro di <i>M</i> di Fritz Lang). Una delle cinematografie più importanti e
più innovative del mondo stava per scomparire per non mischiarsi a uno dei
governi più malati che l’uomo ricordi. Gli artisti che con l’espressionismo ci
avevano donato (non solo nel cinema ma anche nel teatro, nella letteratura,
nella musica e nella pittura) quasi una riproposizione di quello che fu il
Rinascimento in Italia, stavano per preparare le valigie in tutta furia. Così
fece sia il regista Von Sternberg che la divina Marlene trasferitasi ad
Hollywood per diventare uno dei miti del cinema mondiale. Ma tutto partiva da
quella canzone cantata al <i>Der Blaue Angel</i> vero canto d’addio della
Repubblica di Weimar e di un intero sistema di valori.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #252525; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">A
quella voce e a quel corpo, pochi potevano resistere. Hitler provò
disperatamente a convincere la Dietrich a rientrare in patria per diventare la
regina del nuovo cinema tedesco (che ovviamente non nacque mai), ma lei si
rifiutò sempre energicamente; amava dire a proposito delle insistenze del
dittatore tedesco “quel poveretto non si è più ripreso dalla scena della
giarrettiera…”. La Dietrich oltre ad essere una star divenne una delle più
famose oppositrici del regime nazista e i suoi viaggi, durante il conflitto,
all’interno delle prime linee alleate furono leggendarie. Molti reduci
raccontarono che grazie alle sue canzoni riuscivano a trovare nuovo entusiasmo e
voglia di vivere da spendere nei giorni decisivi della battaglia. Erano altri
tempi, più feroci certo ma anche più carichi di sogni rispetto ad oggi e allora
il cinema riusciva davvero a entrare nella vita, e a cambiarla.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #252525; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #252525; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #252525; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/HaZDiKRT1is?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #252525; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-8202010899979169362014-04-22T16:01:00.002+02:002014-04-22T21:06:04.040+02:00La parte degli angeli - Ken Loach<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuk5y-rf79oQmyPE9pF88kEKOO2QjsG53scf_5gXatyslzriV27vxtNDIG4qy7S1JYZaUmEirLpFRS0IqLNLKzAWciD7fmN5KE_YByGf9y8gkflyUoeZiQjOqTO3ZmDG78aj-f8q8ocxsM/s1600/La-parte-degli-angeli-locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuk5y-rf79oQmyPE9pF88kEKOO2QjsG53scf_5gXatyslzriV27vxtNDIG4qy7S1JYZaUmEirLpFRS0IqLNLKzAWciD7fmN5KE_YByGf9y8gkflyUoeZiQjOqTO3ZmDG78aj-f8q8ocxsM/s1600/La-parte-degli-angeli-locandina.jpg" height="320" width="223" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quando vai a vedere un film di Ken Loach sembra quasi di
prepararsi per andare a trovare dei vecchi amici. Quelli con cui sei cresciuto,
che conoscono tutto di te e non ti fanno stare a disagio anche se comunichi
loro le tue debolezze più grandi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Se il fatto di sapere già prima cosa aspettarti è un
limite per molti autori cinematografici, per altri (ben pochi per la verità) diventa
un motivo di vanto. La differenza tra l’essere ripetitivo e l’essere coerente
con la propria idea di cinema (e di società) è quella che passa tra i grandi
autori e i mestieranti dalle emozioni a un tanto al chilo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Registi come Ken Loach e, per rimanere tra i
contemporanei, David Cronenberg e Aki Kaurismaki fanno della fedeltà ai loro
valori di vita un punto di partenza imprescindibile per i loro soggetti
cinematografici. Guardi le loro opere e ti accorgi che ogni volta aggiungono un
capitolo a un libro che messo assieme forma la loro personalissima <i>recherche proustiana</i>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Con <i>La parte degli
angeli </i>Loach ci regala una nuova grande opera ambientata nelle sue adorate
periferie urbane (questa volta siamo a Glasgow) e popolata ovviamente da anti
eroi, da personaggi che con la vita hanno solo fatto a pugni e con i quali la
società non sa bene come comportarsi (bellissima la scena iniziale con la
sequenza velocissima di processi al tribunale). Per Robbie, il protagonista del
film, però è un periodo speciale, sta per nascere il suo primo figlio e la
forza che da solo non riesce a trovare, la scopre in dosi straordinarie in un
piccolo essere umano, l’unico che sembra dargli ancora un po’ di fiducia e regalargli quella seconda possibilità di cui
ha bisogno. Ma questa nuova possibilità Robbie deve costruirsela da solo e per
farlo ha bisogno di un nuovo colpo. Ma non un colpo pericoloso, una di quelle
azioni per cui inizieresti ad odiare il protagonista. Un colpo quasi poetico
nel suo essere surreale, riuscire ad estrarre qualche bottiglia di whisky da
una botte quotata a prezzi folli per poterle poi rivendere a ricchi
collezionisti. La parte degli angeli corrisponde alla percentuale di
evaporazione nel processo di maturazione del whisky (circa il 2% del totale),
all’incirca quella che Robbie e i suoi amici tenteranno di estrarre dalla
botte. <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nelle storie di Loach, anche quelle più drammatiche, non
ci si dimentica mai di sorridere. Se sai che la rinascita può avvenire solo da
una presa di coscienza seria del reale e che ribellarsi contro una società
sbagliata diventa l’unico modo per ritornare ad essere vivo, la solidarietà
degli amici la trovi sempre. E l’amicizia per Loach è qualcosa di
straordinariamente importante perché anche grazie a loro riesci a trovare
il tempo per sorridere alla vita. Dei film di Loach scopro sempre di averne un
bisogno quasi fisiologico, anche quando non sono perfetti. Nella vita probabilmente
nulla lo è, però le sue storie sono vere, sincere e ti danno quella forza che
ti serve ad andare ancora un altro poco avanti, fino al prossimo film, alla
prossima uscita con gli amici o al prossimo sorriso del tuo bambino.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/WizDm4ZmJTo?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-48216396801429354242014-04-01T15:36:00.000+02:002014-04-01T23:32:52.853+02:00La vita di Adele - Abdellatif Kechiche<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl-gh9wkB_C9v8YzvOJgiZegekgytdJ4jCFEj7GqHbUnXnrK-PqopCiufOBPQAXvrg4iAZs8CsT39TUy3Oor7TZrxIkpINDfj45scd6trZhN7VdIFrl_X1Bpya40ZHxeyOXGF7-G2Tjjq8/s1600/adele.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl-gh9wkB_C9v8YzvOJgiZegekgytdJ4jCFEj7GqHbUnXnrK-PqopCiufOBPQAXvrg4iAZs8CsT39TUy3Oor7TZrxIkpINDfj45scd6trZhN7VdIFrl_X1Bpya40ZHxeyOXGF7-G2Tjjq8/s1600/adele.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;">Dalla visione di un film che ha vinto la palma d’oro a Cannes ci si
aspetta sempre tanto. Anche se hai sempre pensato che il regista, il franco
tunisino Abdellatif Kechiche, sia sempre stato sopravvalutato rispetto alle sue
capacità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;">Con <i>La vita di Adele</i> ritengo
si arrivi a un punto di non ritorno. Cercare di comprendere il perché quest’opera
abbia riscosso un entusiasmo così elevato mi riesce francamente complicato. Il
trattare in maniera visivamente <i>forte </i>il
tema di un amore omosessuale mi sembra (per fortuna) ormai superato nel nostro
presente così come le numerose scene di nudo che tanto scandalo hanno fatto
alla presentazione del film e che sono state abilmente pubblicizzate per
logiche commerciali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;">Per quasi tre ore assistiamo alla formazione sentimentale della
protagonista Adele (peraltro una bravissima e ancora poco nota attrice: Adele
Exarchopoulos) che insoddisfatta dalle esperienze eterosessuali scopre di
essere attratta dalle donne; la sua storia d’amore con Emma diventa il centro
del film facendoci assistere alla presa di coscienza, fisica e mentale, di una
ragazza alle prese con la conoscenza di sé. Nel film non succede niente di
straordinario, nulla che non succeda quotidianamente a ogni essere umano
adolescente nella formazione della propria identità e che lo porterà a scelte
importanti per la propria crescita. E allora perché quello che succede ad Adele
dovrebbe colpirmi in modo così profondo? Non sono capace di provare empatia o
esiste qualcos’altro?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;">Più passa il tempo e più la penso come il maestro Hitchcock quando
affermava che il cinema non è una fetta di vita ma una fetta di torta. Con ciò
non voglio naturalmente affermare che non possa esistere altro modo di fare
cinema ma che trasportare nel linguaggio cinematografico ciò che, per sua
natura, è di stretta competenza della letteratura, non è operazione facile per
chiunque. Nei corsi di sceneggiatura si impiega molto tempo a spiegare come una
trama necessiti di un suo climax narrativo e costruire storie in cui gli eventi
non progrediscono ha un coefficiente di difficoltà altissimo. Fare un racconto di
formazione per immagini senza chiamarsi Eric Rohmer è un’operazione non alla
portata di tutti e le, pur discrete, capacità registiche di Kechiche non sono
di certo sufficienti a tale impresa.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;">Termini il film avendo l’impressione che questa storia non ti abbia
dato niente di più rispetto a ciò che non conoscessi già sull'argomento. Basta aver vissuto e avere fatto
buone letture per sapere che la vita di Adele non ha nulla di originale e non
ti arricchisce da nessun punto di vista. Al cinema serve qualcosa di più per
assolvere alla sua funzione culturale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/VaY9exBvJfs?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-35735444004120507212014-03-04T21:32:00.001+01:002014-03-04T21:32:10.224+01:00Ali Aydin - Muffa<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKfPDWudeh3QgsWBvSIpkDVLfvQv6TcFJBywWrXQoudN_0SfYMISxKoL2WVmZ_6zzeGhXNgIzHEeQbuzD7seQAHz7Z8JRioE5K8Brc-UkSDNvMBwUGVx1Y2PpL19k0xZTiMsI68z5TJ7Zv/s1600/locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKfPDWudeh3QgsWBvSIpkDVLfvQv6TcFJBywWrXQoudN_0SfYMISxKoL2WVmZ_6zzeGhXNgIzHEeQbuzD7seQAHz7Z8JRioE5K8Brc-UkSDNvMBwUGVx1Y2PpL19k0xZTiMsI68z5TJ7Zv/s1600/locandina.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In giornate di grida sguaiate e patriottici entusiasmi
cinefili a dir poco imbarazzanti non è stato forse un caso imbattersi in una
pellicola che mi ha confermato che i grandi film si realizzano ancora. E’
sempre più difficile trovarli, sommersi come sono da titoli di scarsa levatura ma
di più immediato appeal. Da tempo non sentivo citare Fellini e Maradona (perché
insieme? Non so ma non chiedetelo a me), icone di un passato glorioso e per
molti aspetti rimpianto. Mi è allora ritornata in mente la frase con cui si
chiude l’ultimo film del regista riminese <i>La
voce della luna</i>: <i>“</i><em><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; color: #191919; font-style: normal;">Eppure io credo che se ci fosse
un po' più di silenzio, se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa
potremmo capire…”. Il silenzio è importante, aiuta a riflettere, serve a capire
meglio gli altri, e quando viene usato bene al cinema, con le immagini, i volti
e le storie giuste riesce a comunicarti più di tante parole. Sarà per questo
che mi porto sempre Buster Keaton nel cuore.<o:p></o:p></span></em></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<em><span style="background: white; color: #191919; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Muffa</span></em><em><span style="background: white; color: #191919; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-style: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">
opera d’esordio del regista turco Ali Aydin è uno di quei film che ti entra
dentro come solo le grandi opere riescono a fare. Lo fa rimanendo quasi in
silenzio, con pochissimi dialoghi ma con un’espressività così potente delle
immagini da farti quasi rimpiangere che sia stato inventato il sonoro al
cinema. Il grande cinema turco ci ha abituato con le opere di Yilmaz G</span></em><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">ü</span><em><span style="background: white; color: #191919; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-style: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">ney o Tevfik Ba</span></em><em><span style="background: white; color: #444444; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-style: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-weight: bold;">ş</span></em><em><span style="background: white; color: #191919; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-style: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">er
a narrazioni essenziali. Niente orpelli registici o dialoghi di insopportabile
pedanteria. Solo immagini potenti e parole quando servono. Da questa tradizione
sembra uscire fuori il film di Aydin (premiato a Venezia con il leone del
futuro nel 2012). La trama di Muffa è minima. Un uomo di mezza età, impiegato
alle ferrovie, vive da solo dopo la morte della moglie e la scomparsa del
figlio avvenuta diciotto anni prima in circostanze mai chiarite. Il senso delle
sue giornate viene dato solo dalle sue incessanti richieste, sotto forma di
lettere mensili, che l’uomo invia alle autorità per avere notizie sulle sorti
del figlio. Come, grazie a una storia simile, si riesca a entrare dentro ad un
universo di poesia e di alta riflessione sui rapporti umani è difficile dirlo. Il
cinema è capace di questi miracoli quando si realizza con sincerità e con
grande applicazione. Non è un cinema spontaneo, c’è più difficoltà a filmare
una scena di solitudine di tre minuti che ti colpisce come un pugno, rispetto a
un piano sequenza di un quarto d’ora che è solo sfoggio estetico. Ma questo
spesso non è compreso da chi ha bisogno di grandi bellezze e di banalità
profuse a piene mani. Per fortuna esiste un cinema diverso, va cercato
faticosamente e poi condiviso con chi crede ancora alle emozioni che escono
fuori dal volto di un uomo e non dalle giravolte di una cinepresa.</span></em></div>
<div class="MsoNormal">
<em><span style="background: white; color: #191919; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-style: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;"><br /></span></em></div>
<div class="MsoNormal">
<em><span style="background: white; color: #191919; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-style: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-style: italic;">Sergio</span></em></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/pgWpbBlkIQQ?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-31031848684052825642014-01-17T15:29:00.003+01:002014-01-17T16:57:21.244+01:00Woody Allen - Blue Jasmine<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbBxL8q1Bnl9DgocXAnCBkOiurZLkqkvdXo72McdnXzvWh2SqxdS2Xk4my02pUjoHZ753I-2svixQdIFr3rGUxggZBhWCVoGJsyl34p46Yvh9dwXcCH6TKY-Yee-KkFhwapN_sEjOmRnH9/s1600/blue_jasmine_locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbBxL8q1Bnl9DgocXAnCBkOiurZLkqkvdXo72McdnXzvWh2SqxdS2Xk4my02pUjoHZ753I-2svixQdIFr3rGUxggZBhWCVoGJsyl34p46Yvh9dwXcCH6TKY-Yee-KkFhwapN_sEjOmRnH9/s1600/blue_jasmine_locandina.jpg" height="320" width="223" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Risulta francamente
impossibile avvicinarsi a una nuova pellicola di Woody Allen senza essere
influenzato dalla sua incredibile carriera passata. Decine di capolavori fino
ai primi anni Novanta e poi una deriva preoccupante che lo ha portato, soprattutto
nell’ultimo decennio, a titoli francamente superflui (con la felice eccezione
di <i><a href="http://a-luci-spente.blogspot.it/2012/04/woody-allen-midnight-in-paris.html" target="_blank">Midnight in Paris</a></i>). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Gli amanti
di Woody Allen, anche senza conoscersi tra loro, sono molto simili agli adepti
delle logge segrete della massoneria, si scambiano messaggi in codice sotto
forma di vecchie battute dei suoi film e dalla reazione che suscitano capiscono
chi fa parte del proprio gruppo. Proprio per il triste declino che il nostro
regista ha conosciuto negli ultimi anni, diventano sempre più sfuggenti ed
ermetici. Alla domanda se si è visto il suo ultimo film, spesso ti dicono che
non ne hanno avuto ancora il tempo (per evitare di dire qualcosa di spiacevole)
però, proprio il giorno prima, <i>casualmente</i>,
hanno recuperato il dvd di <i>Io e Ann</i>ie
o <i>Manhattan</i> e via con gli elogi…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Con questo,
ormai classico metodo di avvicinamento, mi sono accostato al suo ultimo film, <i>Blue Jasmine, </i>pellicola
numero quarantaquattro nella carriera alleniana. Il volto della bravissima Cate
Blanchett che risalta sul manifesto del
film sembra promettere bene. Paragonata alla bellezza da bambola di Scarlett
Johansson la differenza è enorme. Per nostra fortuna.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’ambientazione
non newyorchese della pellicola, girata in gran parte a San Francisco, sembra
ribadire la costante del Woody degli ultimi anni abituato a vagare per le città,
soprattutto europee, alla ricerca di quell’ispirazione che solo la <i>grande mela</i> e delle volte Parigi gli
hanno dato in passato. Ma in questo film New York è più che presente, perché da
lì proviene la nostra protagonista che si porta dietro un matrimonio finito e
una vita andata a rotoli dopo l’arresto e il suicidio del marito truffatore.
Jasmine/Blanchett arriva nella città californiana per ricominciare da zero,
ospite della sorella, diversissima da lei e unica persona che può aiutarla a
ricostruire la sua vita.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quando in un
film di Allen ti accorgi che dopo la prima mezz’ora di visione non hai ancora
fatto un sorriso, le peggiori paure si impossessano in noi adepti alleniani.
Pensi di ripiombare in quegli incubi fintamente “alti” di <i>Match Point</i>. Riproposizione delle solite tematiche di aristocratici
in crisi con relativo bagaglio psicoanalitico da decifrare. Ma mentre inizi a
pensare alle scuse da dire sull’ultimo film di Woody che non hai ancora visto
ecco che la storia prende quota come un vecchio motore che sbuffa all’inizio e
poi fila via in maniera impeccabile. <i>Blue
Jasmine</i> non ha nulla delle commedie tipiche di Allen ma è distante anni
luce anche dalle ambiziose e deludenti opere che il regista americano ci ha
purtroppo regalato nell’ultimo decennio. La sontuosità dell’interpretazione di
Cate Blanchett è sicuramente decisiva nel rendere credibile la pellicola e
farci provare una grossa empatia per il personaggio di Jasmine incapace di
rifarsi un’esistenza libera dalle macerie del suo passato. Ma anche la
scrittura e la regia di Allen sono importanti perché in questo film (finalmente
è il caso di dire) il nostro Woody si ricorda di assecondare i suoi personaggi
piuttosto che le proprie ossessioni. Intendiamoci, Jasmine è in pieno un
personaggio alleniano, per come si muove, per come parla, per il mondo da cui
proviene ma non si ha mai la sensazione che ciò che vedi sia la stanca
ripetizione di ciò che hai visto (meglio) qualche decina di film fa. Il suo
tentativo disperato di riprendersi la propria vita in una città che non conosce
e in mezzo a persone mai viste appare credibile e assolutamente in linea con la
caratterizzazione del personaggio. Certo non possiamo fare paragoni con titoli
come <i>Un’altra donna</i> (anno di grazia
1988) ma la boccata d’aria che il vecchio Woody ci regala è notevole. Alla fine
posso dirlo, quando esce un nuovo Allen state certi che noi fanatici il film lo
vediamo subito.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><u>Trailer:</u></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/LWP229mB0Xk?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-54663337087680112782014-01-10T12:45:00.000+01:002014-01-10T12:47:30.958+01:00Matteo Garrone -Reality<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAXHu9giawZKYOgNJv8XOKtX0BdE2TG4VhgNqDMDu49tC88fNz4MeCbZ_7Dy1Yeg03ydQ4ywyzkjyVnW8Sq36UCqYSUHj-tg0W_PEkQD-SH2IhBmru975R4D_w3_Evltx6rj7QJWATAw5g/s1600/reality-garrone-locandina2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAXHu9giawZKYOgNJv8XOKtX0BdE2TG4VhgNqDMDu49tC88fNz4MeCbZ_7Dy1Yeg03ydQ4ywyzkjyVnW8Sq36UCqYSUHj-tg0W_PEkQD-SH2IhBmru975R4D_w3_Evltx6rj7QJWATAw5g/s1600/reality-garrone-locandina2.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Mi ero ripromesso, dopo avere parlato de <i><a href="http://a-luci-spente.blogspot.it/2013/11/la-grande-bellezza-paolo-sorrentino.html" target="_blank">La grande bellezza</a>,</i> che avrei
ricominciato a scrivere di un film italiano solo per sottolinearne gli aspetti
positivi. Dopo numerose visioni che mi hanno lasciato abbastanza perplesso
(come gli ultimi titoli di Bertolucci, Soldini e Paolo Franchi) ho dovuto ripiegare
su un classico come <i><a href="http://a-luci-spente.blogspot.it/2013/12/viaggio-in-italia-roberto-rossellini.html" target="_blank">Viaggio in Italia</a></i>
di Rossellini per risentire un po’ di sano orgoglio cinefilo nazionale. Ma
questo non era sicuramente sufficiente a ripagare l’amarezza data da un paese che
sembra ormai avere adeguato il livello della sua cultura cinematografica a
quello dell’estetica televisiva. Sceneggiature sciatte (o insopportabilmente
pompose), tecnica sempre più ridondante e recitazione spesso sopra le righe. In
mezzo a tanta desolazione abbiamo ancora, per fortuna, qualche autore che
prosegue il suo percorso artistico rimanendo fedele alla sua idea iniziale di
cinema che possa servire a raccontare il presente in modo critico, mai ruffiano
e capace di utilizzare il mezzo cinematografico in modo serio, come un bravo
artigiano che conosce bene i suoi strumenti di lavoro e sa quando deve renderli
protagonisti e quando invece deve nasconderli per mettere in risalto la storia
che racconta. Mi riferisco a Matteo Garrone regista italiano venuto fuori negli
anni Novanta con titoli importanti come <i>Terra
di mezzo</i> e <i>L’imbalsamatore</i> e poi confermatosi
ad alti livelli con opere come <i>Primo
amore</i> e il suo ultimo recente <i>Reality</i>.
Sembra abbastanza singolare che per trovare un film che non si abbassi al
livello dello sceneggiato televisivo da prima serata bisogna vedere un film che,
sin dal titolo, rimandi in maniera diretta a ciò che più televisivo non
potrebbe essere, il reality e quel grande fratello che è riuscito ad elevare a
modello comportamentale personaggi che, in una società appena più normale della
nostra, meriterebbero il più completo disinteresse (se non qualche rimbrotto e il
consiglio di andare a leggersi qualche libro).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Garrone è un regista attento alle mutazioni della nostra
società, qualcuno ha detto che il suo film è arrivato fuori tempo massimo per
il fatto che il fenomeno mediatico del grande fratello non gode più dell’entusiasmo
di qualche anno fa. Ma per Garrone non è tanto il format televisivo in
questione il centro della storia, ma cercare di capire come la nostra società è
cambiata nel corso degli ultimi anni facendoci diventare schiavi di un meccanismo
perverso per cui l’apparire, sempre comunque e in ogni modo, è il solo metro di
paragone per ritenersi vivi e facenti parte di una comunità. Metro di crescita
dell’individuo non è più la capacità di elevarsi culturalmente o riuscire a
indicare ai propri figli stili di vita sani e solidali, ma riuscire a farsi
notare in un mondo sottosopra dove non conta più se fai la figura dell’idiota perché
in mezzo a tanti idioti si capovolge, come in un carnevale, il senso del
giudizio è idiota appare l’unico sano. <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Luciano, il protagonista del film di Garrone, mette a
repentaglio la propria famiglia e la propria esistenza nel sogno folle di
partecipare a un programma televisivo che potrebbe significare l’inizio di una
nuova vita. Garrone ci presenta Luciano non come una scheggia malata della
società ma, semplicemente, come un elemento più debole degli altri che perde la
testa dietro ad una illusione che però non è vista come tale dagli altri.
Nessuno mette in discussione il fatto che la partecipazione al grande fratello potrebbe
veramente significare un punto di arrivo nella vita di un uomo. Ed è probabilmente
questo l’aspetto più inquietante del film di Garrone, la nostra società ha
completamente capovolto i valori di riferimento e chi non la vede così diventa
quasi un alieno. In questo senso diventa magistrale l’idea del regista di
aprire e chiudere il film con due movimenti di macchina opposti. All’inizio la
macchina da presa arriva dal cielo e si avvicina progressivamente alla città
mentre alla fine si allontana progressivamente dal primo piano del protagonista
per raggiungere nuovamente le stelle. Ed è bellissimo notare come Garrone si
ricordi la grande lezione dei maestri del cinema che sottolineavano gli aspetti
tecnici solo quando erano funzionali al racconto e non perché dovevano servire
a sottolineare le capacità tecniche del regista. Come diceva Orson Welles la
tecnica la puoi imparare in qualche settimana di studio ma la capacità di
sapere raccontare ciò che ti sta attorno richiede molto più sacrificio e
studio. In Italia questo insegnamento si è quasi del tutto perso ma per fortuna
il cinema di Garrone ci da ancora qualche speranza. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer:</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/LzNbwEoBHfQ?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-38891582588263628382014-01-06T13:48:00.003+01:002014-01-06T13:48:51.155+01:00Carlos Saura - Io, Don Giovanni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKP8MeKjRFhJ4C1hCQLo1U8ndGbBkq2CQZwaD8ZTZEBOtKypi3UxWFvPBWG5aC-m4YBTRjqSBswbnIqZ-10Mj-_p2JFkmgTwdG_aP51mxLdIdnMDkQUstpe6UldJnd1b6gfaxrcB0pTh3k/s1600/io_don_giovanni_ver3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKP8MeKjRFhJ4C1hCQLo1U8ndGbBkq2CQZwaD8ZTZEBOtKypi3UxWFvPBWG5aC-m4YBTRjqSBswbnIqZ-10Mj-_p2JFkmgTwdG_aP51mxLdIdnMDkQUstpe6UldJnd1b6gfaxrcB0pTh3k/s1600/io_don_giovanni_ver3.jpg" height="320" width="239" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I rapporti tra l’opera e il cinema sono da sempre stati
intensi e pieni di accostamenti spesso nobili. Grandi maestri del cinema si
sono misurati nel passato con il ricco repertorio operistico. Abbiamo avuto chi,
come Werner Herzog, ha preferito curare esclusivamente la regia a teatro di
opere come <i>La donna del lago</i> di
Rossini scindendo il mezzo cinematografico da quello musico teatrale. Di contro
registi come Joseph Losey o Ingmar Bergman hanno inserito nella loro
filmografia delle vere e proprie trasposizioni operistiche (il <i>Don Giovanni</i> per il regista inglese e <i>Il flauto magico</i> per il maestro
svedese). In ogni caso non è sicuramente sbagliato affermare che il ricco
patrimonio musicale e narrativo presente nella letteratura operistica ha
esercitato un enorme fascino su molti grandi registi cinematografici.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Da amante del cinema, ma non esperto di musica d’opera,
ho sempre avuto un certo timore nell’esprimere un giudizio sugli adattamenti
cinematografici delle grandi opere liriche. I soli strumenti del critico cinematografico
mi sono sempre sembrati insufficienti per valutare la complessità di un
linguaggio musicale così ricco come, ad esempio, quello mozartiano.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Con questo mio solito timore mi sono avvicinato alla
visione di “<i>Io, don Giovanni</i>” di
Carlos Saura, grande maestro del cinema spagnolo che però negli ultimi anni
sembrava in fase discendente. Saura aveva già trasposto al cinema la <i>Carmen</i> di Bizet realizzando un’opera di
grande fascino ma che richiedeva una competenza e un amore preciso per la musica
d’opera per potere essere apprezzata fino in fondo. La piacevolissima sorpresa
che ho invece avuto guardando questa ennesima riproposizione mozartiana sta nel
fatto che, in questo caso, il cinema non arretra di fronte alla nobiltà della
musica e del libretto ma è a pieno titolo protagonista dell’opera con pari
dignità e rivendicando (forse) un certo predominio. Mentre fino ad ora avevo
visto delle opere cinematografiche che (per quanto curate) erano degli accompagnamenti
rispettosi delle opere, con questo film Saura ci racconta la genesi dell’opera
di Mozart a partire dall’arrivo di Da Ponte a Vienna e del suo ingresso nella
corte viennese dell’epoca. Così facendo il regista spagnolo compone (è proprio il
caso di dirlo) un’opera di perfetto equilibrio tra linguaggio cinematografico e
musicale. Impossibile dire se predomini il cinema o la musica e questo permette
a chi non ha grandi conoscenze musicali di apprezzare le arie che Saura
inserisce in un incastro equilibratissimo di narrazione filmica e operistica.
Il racconto dell’amicizia tra Da Ponte e Mozart cammina di pari passo con le
prove della messinscena del Don Giovanni facendoci gustare i due racconti
paralleli senza farci sentire irrimediabilmente a disagio per le nostre non
eccelse conoscenze musicali. Le curatissime scenografie e la splendida
fotografia curata da Vittorio Storaro contribuiscono in maniera decisiva per
regalarci un film che credo possa mettere tutti d’accordo, cinefili e melomani,
nel godimento di un’opera che sintetizza al meglio le grandi capacità
espressive di ogni mezzo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
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<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer</span></div>
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<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/7ySJou49Sp4?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
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<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-1822044214454533162013-12-08T12:24:00.002+01:002015-10-29T12:20:06.189+01:00Viaggio in Italia - Roberto Rossellini<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiV99W4EjmPa4nHghSHKQPGlYVgMtomFKZSN6dVU8pUuVeZflhm3ZVEEfWFdHff9P6FXI4zOiZEzG4X5JM0QPCgy33t9KBc4ocey1AkIGm14Pkmw_S8TrtB-AAFTXKO13Yh0iuM_pa0WodK/s1600/viaggioinitalia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiV99W4EjmPa4nHghSHKQPGlYVgMtomFKZSN6dVU8pUuVeZflhm3ZVEEfWFdHff9P6FXI4zOiZEzG4X5JM0QPCgy33t9KBc4ocey1AkIGm14Pkmw_S8TrtB-AAFTXKO13Yh0iuM_pa0WodK/s320/viaggioinitalia.jpg" width="230" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quando nel 1953 il film di Roberto Rossellini <i>Viaggio in Italia </i>fece la sua
apparizione, i giudizi furono quasi tutti negativi. Gli unici ad avere compreso
che dietro quella pellicola il cinema stava compiendo un passo enorme verso le
sue potenzialità massime, furono i ragazzi terribili che lavoravano alla
redazione dei <i>Cahiers du cinéma</i>. Giovani
critici che ancora non avevano realizzato film ma dopo qualche anno avrebbero
dato vita ad una nuova rinascita dell’arte cinematografica. I suoi nomi
sarebbero poi diventati familiari per ogni appassionato di cinema: François
Truffaut, Jean Luc Godard, Jacques Rivette. Quest’ultimo ebbe a scrivere “Con
l’apparizione di <i>Viaggio in </i>Italia tutti
i film sono improvvisamente invecchiati di dieci anni”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nel 1953 la breve e intensissima stagione neorealista era
ormai conclusa e Rossellini, assieme agli altri autori che resero grande il
cinema italiano, continuava il suo percorso artistico da una posizione
assolutamente personale che avrebbe definitivamente distanziato il suo cinema
da quello di Visconti o De Sica. Già con Stromboli, nel 1949, Rossellini era riuscito
a dare alla Bergman un ruolo magnifico esaltando quel dissidio esistente tra la
sua figura di donna straniera, algida e moderna, e l’interno di un panorama
culturale chiuso e soffocato come era l’isola eoliana. Il magnifico finale del
film quando la Bergman si lasciava rotolare lungo il declivio del vulcano
implorando un’unione mistica con l’assoluto è una delle immagini più forti che
il cinema rosselliniano ci abbia regalato. <i>Viaggio
in Italia</i> porta alla perfezione assoluta il discorso iniziato con Stromboli.
Una coppia di inglesi, benestanti e non più giovanissimi, si recano a Napoli
per risolvere una questione amministrativa. Il loro viaggio segnerà però la
messa a nudo del loro rapporto privato. Fuori dalle certezze date dal loro
ambiente di provenienza dove il lavoro e lo status sociale servono da corazza
all’analisi della propria intimità, l’arrivo in una Napoli distante e
incomprensibile, segna l’inizio di un percorso interiore che li porterà alla
separazione e poi, forse, ad un nuovo riavvicinamento. La Napoli di Rossellini,
come Stromboli di qualche anno prima, rappresenta il legame dell’uomo con la
terra, con tutto ciò che essa possiede di ancestrale e che ci lega al nostro io
più profondo e misterioso. Per condurci all’interno di questo mondo, Rossellini
ci guida attraverso i luoghi maggiormente carichi di tradizione del mondo
napoletano, dal cimitero delle Fontanelle all’antro della Sibilla Cumana, dalle
rovine di Pompei alle solfatare di Pozzuoli. Attraverso ognuna di queste tappe
il personaggio femminile, interpretato ancora una volta da un Ingrid Bergman
inarrivabile per bellezza e bravura, avverte sempre più l’angoscia data dall’avvicinamento
a quel mondo atavico mai conosciuto prima. Un grado nuovo di conoscenza, quasi
una scoperta antropologica quella nella quale Rossellini ci immerge. Alla fine
di questo viaggio, e proprio nel mezzo di una processione popolare, i protagonisti
non saranno più gli stessi di prima.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il cinema come viaggio dentro l’anima dell’uomo per
scoprire quanto forte e devastante sia stato per l’essere umano il distacco
dalla terra, sia pure misteriosa e inconoscibile, per affidarsi alla sola
fredda ragione. Rossellini ci da i brividi che solo la grande arte riesce a
comunicarci quando ci mette di fronte all’infinito. Pensare che dopo qualche
tempo dalla realizzazione di questo film lo stesso autore partì per un lungo
viaggio verso l’India per un viaggio alle origini dell’uomo, ci fa comprendere
ancora di più quanto sincero fosse il percorso dell’autore italiano che ritornò
da quel viaggio trasformato sia dal punto di vista privato che artistico.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il giorno che film come questi saranno proiettati
regolarmente nelle scuole, o alla televisione, potremmo avere qualche speranza
che il cinema italiano possa ritornare ad essere grande e a regalarci nuovi brividi
(e non solo quelli d’orrore che troppo spesso ci dona nel presente).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/aUH4mjpxZys/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/aUH4mjpxZys?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<br /></div>
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<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
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<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-55443006839468433662013-12-06T15:38:00.002+01:002015-10-29T12:23:16.360+01:00Il caso Kerenes - Calin Peter Netzer<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnVa3NoRPhBY5VFvVKF_7W7qVv6VUdVNog4MLbkabxzSlxJvbrN7GApRmS9Si3AQItTdniCU7WELtLQ5M6jvmblJLCtJwG52lahQXuYXLUT258cg9-L8eihbQQPDvP5l2UzJ3547GnPceF/s1600/49907.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnVa3NoRPhBY5VFvVKF_7W7qVv6VUdVNog4MLbkabxzSlxJvbrN7GApRmS9Si3AQItTdniCU7WELtLQ5M6jvmblJLCtJwG52lahQXuYXLUT258cg9-L8eihbQQPDvP5l2UzJ3547GnPceF/s320/49907.jpg" width="223" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Non si contano più le lezioni di cinema che
arrivano negli ultimi anni dalla Romania. Possiamo affermare che, dopo la
grande novità del cinema iraniano e di quello coreano negli ultimi decenni del
secolo scorso, sia ormai la Romania il paese che è riuscito a tradurre il reale
contemporaneo in opere cinematografiche di grandissimo spessore come
probabilmente nessuna altra scuola mondiale attualmente realizza.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> Un altro grande
film, orso d’oro a Berlino 2013, quello di Calin Peter Netzer “<i>Il caso Kerenes</i>”. Riuscire a coniugare
in un’opera cinematografica il piano privato a quello pubblico non è mai
impresa facile. Riuscire a farlo parlando di un paese pieno di contraddizioni e
di ancora fresca nascita “democratica” come la Romania è, probabilmente, ancora
più complicato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Calin Netzer racconta una storia <i>semplice </i>pur se calata in una dimensione dolorosa. Una famiglia
dell’alta borghesia romena, vive la quotidianità in maniera non molto dissimile
da quell’occidente europeo per anni desiderato. Tra infedeltà coniugali più o
meno velate, intrallazzi politico economici che sono vissuti come la norma e
feste dove trionfa il kitsch, si fatica a credere che la Romania (o almeno una
sua parte) sia riuscita ad integrare in così pochi anni, il peggio della sotto
cultura che noi italiani siamo riusciti ad esportare. Probabilmente non è
neanche un caso che la musica che i personaggi del film ascoltano è sempre
italiana a riprova di una colonizzazione dell’immaginario che ha dato i suoi
tristi risultati. In mezzo a questa <i>amena
</i>quotidianità deflagra un giorno la tragedia; un ragazzino di quattordici
anni viene investito ed ucciso dal figlio di una delle protagoniste del film.
Inizia allora lo squallore dei tentativi della famiglia per evitare la condanna
del figlio, testimonianze finte, tentativi di corruzione verso i poliziotti che
si occupano del caso e discesa in campo di tutte le possibili amicizie
influenti. In un trionfo di cinismo non rimane più un briciolo di umanità in
personaggi che si muovono come robot. Ma il dolore è un sentimento troppo forte
per essere nascosto a lungo. La tragedia del povero ragazzo entra gradualmente
nelle vite di plastica dei protagonisti fino a costringerli a fare i conti con
dei sentimenti nuovi. Il dovere delle scuse alla famiglia vittima della
tragedia, da fastidioso impegno necessario a preservare da pericolose denunce,
diventa il confronto tra due culture del paese, quella rimasta ancorata a
valori semplici ma inattaccabili come la dignità e l’onestà e quella che invece
ha perso la propria anima nella rincorsa a quei valori posticci riflessi da un
occidente malato attraverso (probabilmente) gli schermi televisivi.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Netzer riesce a fare grande cinema senza usare grandi
mezzi produttivi. Un cinema fatto di idee, di poesia, di sensibilità. Pieno di
tutti quegli ingredienti di cui il cinema italiano era ricco fino a qualche
decennio fa. Il cinema rumeno ci da una lezione morale, quasi rosselliniana
nella sua intransigenza. A noi non resta che guardarlo con ammirazione e
sperare che possa portare i suoi frutti anche in una cinematografia nostrana
insopportabilmente piena di grandi tecnici e pochissimi narratori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer:</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/J4ge9sqOt04/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/J4ge9sqOt04?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-9927950425570716562013-11-20T19:37:00.001+01:002015-10-29T12:25:39.211+01:00Quentin Tarantino - Django Unchained<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAOBsML2kslLx0ECBTE-NiM134C9A1iqvaG9x9pUBiszD7o5HTvVzSgERgLxWIRdhZUD5nPESlLpMRLdJk5rvAfc_tXj83WM-5bI8s1HtPVU7eiX5rBTql5-twtT_AHOcsEpYqGHbvyXEX/s1600/django1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAOBsML2kslLx0ECBTE-NiM134C9A1iqvaG9x9pUBiszD7o5HTvVzSgERgLxWIRdhZUD5nPESlLpMRLdJk5rvAfc_tXj83WM-5bI8s1HtPVU7eiX5rBTql5-twtT_AHOcsEpYqGHbvyXEX/s320/django1.jpg" width="213" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quentin Tarantino riesce sempre a stupirmi. Tutte le
volte che mi aspetto grandi cose da lui mi delude regolarmente e, mentre stavo
ormai per perdere le speranze, ecco che con <i>Django
Unchained</i> tira nuovamente fuori quella classe visiva che indubbiamente
possiede. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ho sempre pensato che Tarantino abbia delle qualità di
scrittura e di messa in scena di notevole levatura. Allo stesso tempo ho sempre
cercato di mantenermi fuori dalle partigianerie eccessive che da sempre lo
accompagnano. Esaltato o odiato in misura sempre più alta di quanto non
meritasse. Probabilmente anche questo è uno dei motivi per cui aspetto sempre
un po’ prima di vedere i suoi film, non farsi distrarre dalle eccessive urla di
giubilo e di orrore che i suoi titoli si portano dietro è ormai per me una
regola imprescindibile. Eccomi quindi a parlare di <i>Django </i>quando tutti i fan del regista lo hanno già visto e i suoi
detrattori (probabilmente) non lo vedranno mai. Come detto all’inizio non mi
aspettavo grandi cose da quest’opera che arrivava dopo una serie di film (da <i>Kill Bill 1</i> e <i>2</i>, all’orrendo <i>Grindhouse</i>
e al sopravvalutato <i>Bastardi senza gloria</i>)
che ho sempre definito girati con la mano sinistra da un regista che, pur
divertendosi sempre di più a giocare con il suo mezzo preferito, dimenticava
che il cinema è (anche) capacità di andare oltre all’immagine ben fatta e alla
battuta sapientemente costruita. Avevo perso la speranza di rivedere il Quentin
di <i>Pulp Fiction</i> o delle <i>Iene</i> o quello sottovalutato, ma per me
magico, di <i>Jackie Brown</i>. Pensavo che
probabilmente la filosofia cinematografica pulp si era definitivamente
inaridita, prosciugata da decine di registi scadenti a cui bastava far vedere
un po’ di sangue e qualche turpiloquio linguistico per definirsi tarantiniani
(e tarantolati). Penso che il buon Quentin questo lo avesse avvertito e sapesse
anche di essere arrivato a un punto di svolta. Continuare a fare film adatti
solo ai suoi fan oppure ritornare ad essere quel regista che, pur amando <i>sangue e parolacce</i>, è un profondissimo
conoscitore di cinema (e non soltanto quello trash come purtroppo molti
credono).<i> <o:p></o:p></i></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Django
Unchained </span></i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">è un film che ad ogni inquadratura porta la firma del suo
autore; guardandolo pensavo che finalmente al suo ottavo lungometraggio
Tarantino ha deciso di omaggiare il cinema del <i>selvaggio west</i> da lui tanto amato. Probabilmente questa
ambientazione ha anche favorito la credibilità della sua messinscena: cosa
meglio di un buon vecchio western per giustificare le sinfonie splatter del
nostro autore? Ma, fortunatamente, questa volta si va oltre la sapienza visiva
e l’irresistibile ritmo delle battute. Nel film i personaggi e la storia sono
di grande spessore. Dietro la storia dello schiavo Django, affrancato da un
improbabile (ma irresistibile) medico tedesco e con lui diventato un feroce
cacciatore di taglie, abbiamo una lucidissima analisi dell’universo dell’America
razzista del diciannovesimo secolo. Il tutto naturalmente sotto la lente
grottesca di Tarantino che però ha il pregio di non mandare <i>tutto in caciara</i> (come ha qualche volta
fatto nel recente passato). L’autore ha il grosso merito di calare il suo mondo,
fatto di personaggi unici e, spesso, divertentissimi, all’interno di una storia
che non perde mai la sua linearità, difetto che in passato mi provocava un’infinita
noia alla visione delle sue opere. Tarantino quando riesce a non farsi prendere
la mano, lasciandosi distruggere dal suo essere eccessivamente anarchico, credo
sia un autore di altissimo livello. Come i grandi maestri del cinema ci hanno
sempre insegnato nel passato, essere dei geni non basta per fare cinema di alto
livello se non si possiede anche un rigore narrativo e ritmico dato da uno
studio serio. Quando Tarantino si ricorda che, oltre ad amare gli spaghetti
western e tutti i film di serie zeta, è anche un profondo conoscitore del cinema
alto (non a caso la sua casa di produzione cinematografica di chiama <i>A band Apart</i> omaggio dichiarato a quel
genio di Jean Luc Godard), le sue opere riescono a essere irresistibili e
originali che magari non piaceranno a tutti (o piaceranno troppo ad altri) ma a
me riusciranno sempre a donare un paio d’ore di divertimento. Speriamo che
Quentin continui così.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer:</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /><iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/Sb0Jq_RnUwA/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/Sb0Jq_RnUwA?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-29524490089671933982013-11-13T02:21:00.000+01:002015-10-29T12:29:07.647+01:00Prima dell'alba (1995) - Prima del tramonto (2004) - Before Midnight (2013) - Richard Linklater<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU-9T9rT7BloZtanIPSelhasz_5E9R03pYIUUkjyvq0CNLS_gBNcitNIRzWOCJZFoRDs-oH9gKStaZfWLRtAI03b7P1EpFrE1FsfnsAUJERy6o79NPcDTeWsbrTBo2Z0BzH1zprnFW50ED/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU-9T9rT7BloZtanIPSelhasz_5E9R03pYIUUkjyvq0CNLS_gBNcitNIRzWOCJZFoRDs-oH9gKStaZfWLRtAI03b7P1EpFrE1FsfnsAUJERy6o79NPcDTeWsbrTBo2Z0BzH1zprnFW50ED/s320/1.jpg" width="223" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJbzyIkiWZRPyWFC02b0JHOC4K7isF1QmbA3TCVrcM1ZgByxb1zx_97fLf5HiTtZ4kNr-VQtjMjU2hXA6zJFpy7pZ3rsmWkVwpgwqz-a03QboG6i4Gx6A9eftDIaUitMZiLTtkw4dp7dNb/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJbzyIkiWZRPyWFC02b0JHOC4K7isF1QmbA3TCVrcM1ZgByxb1zx_97fLf5HiTtZ4kNr-VQtjMjU2hXA6zJFpy7pZ3rsmWkVwpgwqz-a03QboG6i4Gx6A9eftDIaUitMZiLTtkw4dp7dNb/s320/2.jpg" width="226" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGOjD0lXqDlG0bFYn4rp-yKA36tAKCPPJENXbAPLejrARm0jBxzVTHZ5Cz_XmoD9BoxUXH3a3QjdTEgyldV3DUoGwGrEGxcTgA015MT0pNfmScRhVruz0xgXpF9AXeX1F2h7d4aFdnNBAe/s1600/3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGOjD0lXqDlG0bFYn4rp-yKA36tAKCPPJENXbAPLejrARm0jBxzVTHZ5Cz_XmoD9BoxUXH3a3QjdTEgyldV3DUoGwGrEGxcTgA015MT0pNfmScRhVruz0xgXpF9AXeX1F2h7d4aFdnNBAe/s320/3.jpg" width="226" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Era il 1995 quando, giovane studente universitario con il
chiodo fisso del cinema, mi capitò di entrare in sala per vedere un film di un
giovane autore statunitense, Richard Linklater. Il film era <i>Prima dell’alba </i>è credo che il motivo
principale che mi spinse ad entrare fu la presenza di Julie Delpy, attrice
della quale non perdevo un titolo dopo averla vista in <i>Film bianco</i> di Kieslowski. Non mi aspettavo niente di più di una
piacevole commedia e non avrei mai pensato, dopo diciotto anni, di parlarne
ancora.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quel film parlava di due ragazzi, Céline e Jessie, lei
francese lui americano che, su un treno diretto a Vienna, si conoscono, si
parlano e non sanno ancora che da quel momento la loro vita avrebbe preso una
direzione del tutto nuova. Lui dovrà prendere un aereo per tornare negli Stati
Uniti mentre lei deve rientrare a Parigi ma decidono di scendere a Vienna e
prendersi una pausa di una notte. Una notte che passeranno a camminare per le
strade della città, parlandosi, conoscendosi e, probabilmente, amandosi. Poi
l’arrivo dell’alba e la separazione. Ognuno verso la propria destinazione ma
con una promessa: rincontrarsi dopo sei mesi nello stesso posto. Un’opera piena
di dialoghi ma avvincente, perché in quel film c’era molto di più di un semplice
incontro tra due ragazzi, c’era tutta la vita che due ventenni sognano di
avere, con i desideri, le paure e il coraggio che solo a quell’età puoi
possedere. Passarono i giorni e mi accorsi che quel film l’avevano visto in
tanti, all’università tra dotti disquisizioni letterarie e ansia da esami
vicini arrivava il momento in cui si parlava di cinema e su questo strano film che
tanti avevamo visto. “<i>Ma tu cosa avresti
fatto al posto di Céline?</i>” chiedevo alle ragazze illudendomi di trovare la
chiave per comprendere l’incomprensibile, “<i>e
perché Jessie decide di prendere quel maledetto aereo?”</i> mi rispondevano. Da
lì, e a partire da quel film, si parlava della vita, dell’amore e dei sottili
equilibri della vita. Il cinema compiva la sua magia, avvicinava le persone e
aiutava a farle conoscere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Passano gli anni, il periodo universitario è un bellissimo
ricordo ma ero alle prese con situazioni nuove, tante cose erano cambiate in me
tranne la passione per il cinema. E’ il 2004 e al cinema arriva <i>Prima del tramonto</i>, stesso regista e
stessi attori di dieci anni prima. Credo di essere entrato allo spettacolo
pomeridiano tanta era la curiosità di ritrovare di nuovo Céline e Jessie. Hanno
dieci anni in più, hanno da poco superato i trenta e anche io ho la loro stessa
età. Si rincontrano per caso, o forse no, sono a Parigi in una libreria, lui è
diventato uno scrittore e presenta il suo libro che parla di un incontro a
Vienna di dieci anni prima. Ecco la vita che riannoda se stessa. Tutto scritto
a tavolino? Poco credibile? No, un altro grande film, altri dialoghi di
altissimo livello, comincio a capire quelli che avevano l’età di Antoine Doinel
nei film di Truffaut di quarant’anni fa. Il cinema segnava di nuovo delle
esistenze con i ritmi esatti, senza scarti veloci, prendendosi il tempo giusto,
il tempo della vita che è anche quello degli spettatori che crescono assieme ai
personaggi. Il film terminava con una delle scene più sensuali del cinema
moderno, Céline mette su un disco di Nina Simone, le note di <i>Just in time</i> la accompagnano nei
movimenti mentre la macchina da presa rende la sua immagine eterna. Non sai
cosa accadrà di loro, vivranno insieme? Si separeranno? Ma in fondo sono
domande inutili, sarà il tempo a dirlo, non si può fare altro che aspettare e
nel frattempo continuare a vivere la tua di vita.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Passa un altro decennio, siamo ai giorni nostri, l'esistenza ha compiuto un’altra rivoluzione copernicana, tutto è di nuovo cambiato (tranne
ovviamente l’amore per il cinema). Arriva <i>Before
midnight,</i> Céline e Jessie rientrano ancora nella mia vita, adesso sono per
me come due vecchi amici, non mi stupisco del loro arrivo. Guardo il film e mi
sembra di non essere più uno spettatore ma un protagonista della storia
raccontata. Nel film c’è forse un tono più disilluso rispetto al passato ma a
quarant’anni non si sogna allo stesso modo dei venti, diventi più
consapevole dei traguardi raggiunti e sai che per mantenere l’equilibrio devi
trovare il giusto compromesso tra i sogni dei tuoi vent’anni e le responsabilità
dei tuoi quaranta quando, per la prima volta, cominci a capire che il tempo che
passa diventa pian piano il tempo che resta. Guardo il film da solo prima dell’inizio
della mia lezione e penso, mentre mi avvicino alla fine, che una delle grande
differenze con quella prima visione di diciotto anni prima sta nell’assenza di
condivisione con gli altri. Sarò rimasto l’unico folle ad emozionarsi ancora
alla storia di Céline e Jessie? Mentre me lo chiedo entra un mio allievo che dà
uno sguardo allo schermo e dice “<i>Before
midnight</i>, che bello, l’ho visto qualche giorno fa,non ho perso nessuno dei
loro film…”. Iniziamo a parlare del film mentre Il cinema ritorna, ancora una
volta, a spiegarmi la magia della vita e sui titoli di coda la voce
straordinaria di Céline mi sta, probabilmente, dando un altro appuntamento.</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Clip - </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Prima del alba </i><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/HHVHIdsJqJE/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/HHVHIdsJqJE?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br /></i></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-76393461806759762012013-11-10T20:18:00.000+01:002013-11-10T21:58:27.624+01:00Abel Ferrara - Mulberry St.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuYD5_6dNhnQHgcbq-PqoO1a2h5yOzcNyODj6GZurRKFpHLlujBy_EYO11p6TctCthM8dRwB18Pk_PioftedODpkjmEE7nhQpEjjJ4RCqb9YnHnSMdNQR9hp1Lrl-wcGCpgnbDfCTvDCGB/s1600/ferrara.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuYD5_6dNhnQHgcbq-PqoO1a2h5yOzcNyODj6GZurRKFpHLlujBy_EYO11p6TctCthM8dRwB18Pk_PioftedODpkjmEE7nhQpEjjJ4RCqb9YnHnSMdNQR9hp1Lrl-wcGCpgnbDfCTvDCGB/s320/ferrara.jpg" width="206" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quando associamo il cinema alla città di New York, per la
maggior parte degli amanti della settima arte, i primi nomi che vengono alla
mente sono quelli di Woody Allen, Spike Lee e Martin Scorsese. Mentre Allen
rappresenta la città vista dalla prospettiva alta e borghese di Manhattan e
Spike Lee rispecchia la comunità afro americana, il cinema di Scorsese è, almeno agli inizi, stato considerato come figlio di Little Italy e di tutta la cultura italo
americana che quel quartiere rappresenta. Ritengo però che accanto al nome di
Scorsese vada inserito quello di un altro grande regista che condivide con
Scorsese le stesse radici italiane, Abel Ferrara.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Abel Ferrara è visto da molti come un autore <i>maledetto</i> del cinema e in effetti il suo
cinema è sempre stato poco incline alle leggi del <i>buon gusto estetico</i> (regola
alla quale anche Scorsese si è più volte adattato). Autore di capolavori come <i>Il cattivo tenente</i>, <i>The addiction</i> e <i>Fratelli</i>,
Ferrara è anche riuscito a realizzare film del tutto trascurabili come <i>Go go tales</i> o <i>New Rose hotel</i>, ma nella sua discontinua produzione artistica non
si può certo negare il marchio del grande autore. La storia artistica di
Ferrara meriterebbe la scrittura di un libro tanto è ricca di eventi a dir poco
singolari. Debutta negli anni Settanta addirittura con un film hard core di cui
è interprete e regista per poi passare al cinema horror. Negli anni Ottanta i
suoi titoli cominciano a essere sempre più considerati da critica e pubblico
specialmente dopo <i>King of New York</i> (che
offre una grandissima prova di Christopher Walken). Il suo cinema, fino agli
Novanta, è percorso da una grandissima tensione etico religiosa (ed è naturale
l’incredulità di chi pensa ai suoi inizi) calata in una realtà spesso bassa
come quella delle strade più marginali di Little Italy. Assieme allo
sceneggiatore Nicholas St. John, Ferrara riesce a dare un affresco della
cultura italo americana, costantemente in bilico tra tradizione e progresso,
religione e consumismo che non ha eguali sul grande schermo. La scrittura
lucida e disperata del suo sceneggiatore unita alla sua capacità visiva riesce
a tradursi sullo schermo in opere altissime. Ma a metà degli anni Novanta
succede qualcosa di strano, Nicholas St. John stanco del cinema si rinchiude in
convento e Ferrara perde il collaboratore storico per le sue opere. A partire
da quel momento il suo cinema nasce dimezzato; rimane la forza espressiva delle
immagini di un grande autore ma scompare quella tensione esistenziale data
dalla scrittura di St. John. Pur continuando ad essere considerato un autore di
prima fascia il suo cinema non raccoglie più gli entusiasmi passati. <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Negli ultimi anni però Ferrara sembra avere ritrovato una
discreta carica autoriale soprattutto in campo documentaristico. Realizza
dapprima <i>Chelsea on the rocks </i>(2008) che
narra la storia del famoso albergo newyorchese, patria degli artisti bohemienne
del Novecento, da Dylan Thomas a Janis Joplin passando per Bukowski e Sid
Vicious e poi <i>Mulberry St.</i> (2009) dove,
con grande ispirazione, Ferrara si immerge nelle strade della sua Little Italy
per raccontarne la trasformazione nei giorni della festa di San Gennaro. Un pezzo
di Italia antica si riappropria in pieno delle sue tradizioni e caratterizza
quel quartiere di New York in maniera ancora più forte di quanto non faccia
normalmente. Ferrara si trova perfettamente a suo agio nel narrare un mondo e
una storia che gli appartengono in pieno e il film diventa una piacevolissima
scoperta di una cultura che troppo spesso i film ci fanno vedere sotto la lente, a volte irreale, della fiction cinematografica. Ferrara interpreta se stesso, lo
stesso fanno i suoi amici e anche gli attori (come Matthew Modine) che lo vanno
a trovare tra le strade del quartiere. Per novanta minuti si conoscono
personaggi singolari che costituiscono l’anima storica della Little Italy che
lentamente è destinata a scomparire, ma si parla anche di cinema, delle
paradossali storie che, nell’arco dei decenni, sono capitate al regista per
terminare i suoi film a partire da quello strano esordio che nel quartiere molti
ricordano. Grande opera a metà strada tra diario intimo e cinema
documentaristico. Se Ferrara continuasse così potremmo non rimpiangere più la
fuga mistica del suo sceneggiatore.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-67987272407455739562013-11-08T22:27:00.001+01:002015-10-30T12:09:19.894+01:00Pietà - Kim Ki Duk<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPARP9MoOBZj16MqPi_S5U8Kuh6yviNc16hpev9pEmN20J7CDurtOL6tkLiUkjhEsoEllDvb0LVNMeDnt6x_Bis38svSMxr0DRHe1WqpCq0bX9FIjEKpX72wGWpRSRcr8pLUxYei3NaARq/s1600/locandina-Pieta-Kim-Ki-Duk-2828.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPARP9MoOBZj16MqPi_S5U8Kuh6yviNc16hpev9pEmN20J7CDurtOL6tkLiUkjhEsoEllDvb0LVNMeDnt6x_Bis38svSMxr0DRHe1WqpCq0bX9FIjEKpX72wGWpRSRcr8pLUxYei3NaARq/s320/locandina-Pieta-Kim-Ki-Duk-2828.jpg" width="225" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Kim Ki Duk è uno di quegli autori per cui vale sempre la
pena intrattenersi. I suoi film, assieme a quelli di Park Chan Wook, hanno
contribuito in modo decisivo a fare conoscere il cinema coreano in Italia.
Dalla fine degli anni Ottanta la sua produzione artistica è stata fondamentale
per ogni appassionato della settima arte. Il suo cinema, fatto di rigore
formale, fortissima violenza espressiva e sublime poesia, ci ha insegnato sulla
moderna cultura orientale quello che Yasujiro Ozu ci ha spiegato sul Giappone
del Novecento.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pietà
</span></i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">ha
vinto lo scorso anno a Venezia il leone d’oro come miglior film; per Kim non è
certo una novità fare incetta di premi in Europa. Questa pellicola era
particolarmente attesa perché segnava il suo rientro artistico dopo anni di
auto isolamento dovuto a una fortissima depressione (descritta in maniera
strabiliante nel suo video diario <i>Arirang</i>).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nei sobborghi di una città coreana un uomo gestisce il
recupero dei crediti per conto di un’organizzazione criminale, i metodi che
segue sono quelli di un torturatore. Il trattamento che destina agli insolventi
sono di una violenza devastante, il tutto mentre la sua vita trascorre piatta e
solitaria. Ma l’apparire di una donna misteriosa, che afferma di essere la
madre, comincerà a incrinare le sue certezze facendo diventare il protagonista un
soggetto debole (o meglio umano), prigioniero delle sue paure e del trauma di
poter perdere la persona che ama. Come sempre il soggetto della storia, nelle
mani del regista coreano, diventa ricco di metafore e simbolismi che
trasformano la narrazione in un trattato sulla condizione umana. Purtroppo emerge
la sensazione che ciò che Kim mostra in questo film sia la ripetizione (in
peggio) di ciò che egli stesso ha fatto nelle sue opere passate. La solitudine,
la vendetta, la pietà, concetti centrali della sua opera, eccedono
probabilmente troppo, fino a diventare metafore troppo scoperte e, di
conseguenza, superflue. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Se fosse stato il primo film visto di Kim Ki Duk avrei,
probabilmente, dato un parere positivo ma so di cosa lui è capace quando non
premette, alla propria ispirazione, una troppo forzata volontà di essere didascalico. A
ciò si aggiunge un’eccessiva voglia di colpire con uno stile visivo un po’ troppo
duro (anche per chi è passato indenne alla visione de <i>L’isola</i>).<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">A differenza di altri autori, definitivamente rovinati da
una mortale auto celebrazione, continuo a confidare nel cinema di Kim Ki Duk
probabilmente perché continuo a ritrovare nelle sue storie una meravigliosa
ossessione alla ricerca dell’umanità di un mondo ormai a brandelli. Non sempre
riesce a essere lucido ma è sicuramente coerente. E allora, in attesa del suo ultimo
<i>Moebius,</i> mi rimetto a guardare quello
che ritengo essere uno dei film più belli del decennio scorso: <i>La samaritana</i>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer: </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/qNwTnicZekM/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/qNwTnicZekM?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-14221643303962886312013-11-05T14:04:00.001+01:002015-10-30T12:11:58.058+01:00Another year - Mike Leigh<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMeLUbY_Tg532tU81iVc6Vds3UPULcc_siGE60oUcVH5AExKsERE0U4BQP5vrEJpjlgPvmvL4kohc3FZISDaTtS8jVgW8U_b-uqhcyIYBOdgsZok-nMUeugNc533n6f_Wi6D5yWLErkgl1/s1600/Another-Year-Poster-Orizzontale-USA-3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMeLUbY_Tg532tU81iVc6Vds3UPULcc_siGE60oUcVH5AExKsERE0U4BQP5vrEJpjlgPvmvL4kohc3FZISDaTtS8jVgW8U_b-uqhcyIYBOdgsZok-nMUeugNc533n6f_Wi6D5yWLErkgl1/s320/Another-Year-Poster-Orizzontale-USA-3.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Guardare un film di Mike Leigh ricorda un po’ le
atmosfere di certe cene che organizzi con gli amici, quelli veri, quelli che,
nonostante gli anni trascorrano, ti danno la certezza di volere ancora bene e
di essere ricambiato. Si parla con gli amici, si ricordano vecchi episodi e si
ride per qualcosa che soltanto all’interno del ristretto gruppo si può
comprendere. Si fa qualche progetto con un bicchiere di vino in mano e poi si
ritorna alla vita di sempre, al trascorrere delle stagioni, agli eventi belli e
brutti che la contraddistinguono. Il mondo non cambia per questo ma tu ti senti
meglio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Mike Leigh è uno dei più grandi registi inglesi in
attività, raramente sbaglia un film. Nelle sue storie c’è la vita, quella vera,
che quando la guardi non ti sembra di stare al cinema ma vorresti essere uno
dei personaggi della pellicola per potere parlare con loro. Perché nelle loro
gioie, nelle loro paure, riconosci le tue. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Another
year</span></i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
sembra essere un film di Rohmer con i suoi lunghi dialoghi e la divisione del
film in quattro parti corrispondenti alle quattro stagioni ma, a differenza del
maestro francese, nel suo film c’è meno filosofia e più quotidianità. I
personaggi del film di Leigh ruotano attorno alla famiglia di Gerri una
psicologa cinquantenne e suo marito Tom ingegnere coetaneo. Gli anni che
passano lasciano tracce evidenti sui corpi ma la loro serenità e il loro amore gli
fanno affrontare ogni cosa con una leggerezza estrema. Diventano per questo
punto di riferimento per gli amici, ognuno di loro con qualche problema
esistenziale come Mary, l’amica divorziata e in perenne crisi di solitudine o
il fratello di Tom rimasto vedovo da poco. La casa della coppia diventa un
luogo di incontro in cui organizzare barbecue o amene cenette dove ognuno
prende un pezzo della propria vita e la confronta con quella degli altri. In un
film del genere la scrittura diventa essenziale per trovare il giusto
equilibrio e dare all’intera opera il senso alto a cui mira. Leigh è maestro
nella capacità di creare dialoghi mai banali e sempre carichi di senso, i suoi
attori sono straordinari nel riuscire a parlare con ogni piccolo movimento del
corpo. Tutto la storia diventa un’esperienza di crescita per ogni personaggio e
anche per ogni spettatore che vive assieme a loro l’esperienza della vita che
passa.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ci sentiamo più pieni alla fine del film, carichi di un’umanità
positiva che diventa l’arma migliore contro il cinismo che delle volte sembra
essere l’unico strumento per sopravvivere. Quando guardi i film di Mike Leigh,
come in quelli di Ken Loach l’altro grande maestro del cinema inglese, riesci
ancora a dare un po’ di credito agli esseri umani. Uno strano corto circuito mi
prende nell’avere visto questo film subito dopo <i>La grande bellezza</i> di Sorrentino; quanto mi sarebbe piaciuto che
qualcuno dei personaggi del film italiano fosse comparso improvvisamente negli
ambienti di Mike Leigh a farsi una lezione di umiltà e, soprattutto, di
umanità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Trailer:</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/BiO3jej5D48/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/BiO3jej5D48?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<br /></div>
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Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-36350979268634836992013-11-02T19:31:00.002+01:002015-10-30T12:14:06.486+01:00Amour - Michael Haneke<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1ryo0Qw4rxkwotr5EHOdmXrf6BVHduIxLgFmIbGUvb0bgNbrW4TSzu9r9GoqbYKHLEkVgDIjZagClpmzCv3ESDENvKtBUJYZ3ZfbAXNpYu96JnMa5JjdCLgfRbE7K_-dsPt7RY5q77ryI/s1600/locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1ryo0Qw4rxkwotr5EHOdmXrf6BVHduIxLgFmIbGUvb0bgNbrW4TSzu9r9GoqbYKHLEkVgDIjZagClpmzCv3ESDENvKtBUJYZ3ZfbAXNpYu96JnMa5JjdCLgfRbE7K_-dsPt7RY5q77ryI/s320/locandina.jpg" width="224" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pochi registi potevano pensare di realizzare un
soggetto come <i>Amour</i>. Ma Michael Haneke non è diventato uno dei più grandi
autori al mondo per nulla. Il suo cinema ci accompagna da più di vent’anni
riuscendo spesso a provocarci dei brividi simili a quelli che un essere umano avverte
tutte le volte che qualcuno,o qualcosa, ci svelano un pezzo della nostra anima.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La pellicola, palma d’oro lo scorso anno a Cannes, è una
delle più forti storie d’amore mai realizzate. Ma è anche una storia di
malattia e di morte, di pudore e solitudine, di emozione purissima e
raggelante. Una di quelle storie che ti lasciano per un po’ in silenzio prima
di potere riprendere a parlare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Una coppia di anziani coniugi, un ictus che colpisce la
moglie e il lento decadimento verso la fine. Potrebbe sembrare una sinossi
pericolosissima per il cinema ma Haneke non è un regista qualunque. Lui ha
sempre rifiutato la pornografia del dolore, sa benissimo quando un autore deve
fermarsi per far parlare la storia e non dare mai un movimento inutile della
macchina da presa. E sa anche che per una storia del genere servono due
interpreti di una bravura straordinaria, per questo sceglie Jean Louis
Trintignant e Emmanuelle Riva. Nel film non compare mai un medico,una corsia d’ospedale
o qualche immagine che ti costringe a socchiudere gli occhi per la tensione, ma
è talmente essenziale da farti confrontare con la tua interiorità più profonda.
Credo che ogni spettatore di questo film potrà reagire in modo differente alla
visione proprio perché l’anima di ognuno di noi è unica e ciascuno reagisce in
maniera diversa agli eventi <i>limite</i>
della vita. Anne e Georges decidono di vivere il loro dramma con un pudore
estremo, pochissimi contatti con il mondo esterno se non quelli essenziali.
Anche la figlia viene tenuta a una distanza discreta perché, come gli spiega Georges,
“<i>tutto questo non merita di essere messo
in mostra</i>…”. L’etica del dolore è quella che Haneke ci regala attraverso le
azioni dei protagonisti ma anche il pudore dei comportamenti e quello,
importantissimo, delle parole che ti insegna a non chiedere mai ad un malato
come sta o se si può fare qualcosa per lui. <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La falsa pietà di chi è incapace, fosse anche la figlia,
di comprendere a fondo il senso di tragedia di un essere umano alle prese con
la perdita progressiva della vita deve essere allontanato per salvaguardare ciò
che, fino alla fine, rimane della persona che amiamo, la dignità e i ricordi.
Haneke ci mostra, quasi con scientificità, quanto impreparati siamo a gestire
gli aspetti limite dell’esistenza ma ci offre una commovente rappresentazione
di ciò che può riuscire a fare l’uomo messo di fronte all’abisso. L’amore,
quello più nobile e alto, che Georges regala ad Anne è una grandissima lezione
di compassione, una lezione morale di sublime altezza. Rimaniamo muti di fronte
a questo spettacolo, certi di avere assistito a qualcosa di grande, che
probabilmente non riusciremo a spiegare bene con le parole ma avrà contribuito
a migliorare la nostra vita.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/zSQmUSk1Q5U/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/zSQmUSk1Q5U?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
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Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-491301709388421178.post-64418877731337424522013-11-01T16:39:00.000+01:002015-10-30T12:14:52.921+01:00La grande bellezza - Paolo Sorrentino<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfBjMn6B8IQQPaI-A1kP8QH7vU_pUN50d3Xb9gTTxFGkaTauKbj0KdMdJ22N4bZDmP9beXV7VeRQ20Sc7uOLPKfrKPklyjy00_wtgnG-51c5mPlqJQlDOVvV8kODrll3ZTlAUgru0unl5K/s1600/49042.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfBjMn6B8IQQPaI-A1kP8QH7vU_pUN50d3Xb9gTTxFGkaTauKbj0KdMdJ22N4bZDmP9beXV7VeRQ20Sc7uOLPKfrKPklyjy00_wtgnG-51c5mPlqJQlDOVvV8kODrll3ZTlAUgru0unl5K/s320/49042.jpg" width="223" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Giuro di averci provato. Ho iniziato a guardare <i>La grande bellezza</i> facendo scomparire
tutti i timori che, ogni volta che mi preparo a vedere gli ultimi film di
Sorrentino, mi assalgono in maniera prepotente. Mi dicevo che uno come lui
avrebbe sicuramente compreso che le sue ultime prove erano sempre più
estetizzanti e sempre meno ricche di contenuto. Probabilmente la trasferta
americana di <i>This must be place</i> era
stata archiviata e il regista aveva compreso che certe storie e certi ambienti
non erano nelle sue corde, magari la morte del divo Giulio l’aveva riportato a
una considerazione più umana dell’esistenza che non ha bisogno di continui voli
della macchina da presa per essere celebrata (o criticata). E probabilmente, mi
dicevo, pure Toni Servillo avrà compreso che nella recitazione bisogna anche
sapere lavorare di sottrazione piuttosto che dimostrare continuamente quanto si
è bravi. Inizia il film e la frase di Louis Ferdinand Céline messa come incipit
mi mette di buon umore, Céline lo scrittore che amo più di ogni altro… non
poteva esserci migliore presentazione! Naturalmente conoscevo già il soggetto
del film e l’affresco della capitale nei nostri poveri tempi mi sembrava uno
spunto ottimo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma che colpa posso avere se dopo i primi quindici minuti
la coppia Sorrentino – Servillo riescono a darmi più colpi di un samurai alle prese
con una epica crisi di astinenza? La macchina da presa non si ferma un attimo,
dolly, carrelli, piani sequenza. La faccia di Servillo sembra il campionario
delle facce dell’attore su quei vecchi manuali di espressività teatrale. Tutto
portato all’eccesso in modo insopportabile… ma io sono buono e resisto, sono i
tempi mi dicevo… sta descrivendo il nostro presente e allora forse avrà pensato
che caricare tutto in questo modo è necessario per farci entrare dentro il
film. Continuo la visione e cerco di respirare bene. Ma niente, Servillo non la
smette di <i>attaccarsi ai drappi</i> e
Sorrentino si sente sempre più Orson Welles (senza esserlo). Arriva Verdone e,
nonostante gli sforzi, le sue capacità recitative non sono certo eccelse. Ma
questo è niente rispetto al brivido provato all’apparizione della Ferilli,
paura allo stato massimo. Sorvoliamo che la Ferillona entra in campo subito
dopo un bel primo piano del simbolo della banca sponsor del film (ma c’era
proprio bisogno di fare marchette così visibili?) ma capisco sempre più perché uno
dei pochi geni del cinema italiano, Marco Ferreri, scelse lei e Jerry Calà
(avete capito bene) per girare un suo grande film <i>Diario di un vizio</i>. Nessuno
meglio di loro avrebbero potuto interpretare meglio i personaggi di quell'opera (scegliere il peggio per ottenere il meglio). Ma Sorrentino non è (neanche)
Ferreri e la sua scelta è palesemente un omaggio alla romanità della Ferilli
tanto è vero che subito dopo appare in un cameo agghiacciante l’altro simbolo
della romanità coatta, Antonello Venditti. A dire il vero all’inizio ero
convinto si trattasse di Corrado Guzzanti nella sua famosa imitazione ma dopo
pochi secondi ho compreso che era il vero Venditti. Guzzanti è molto più reale
nell’interpretare Venditti di quanto non lo sia lo stesso Venditti.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il film scorre facendo scempio di tutte le regole
cinematografiche che Sorrentino una volta conosceva. Pochissima adesione verso
i personaggi visti costantemente come delle macchiette e senza mettere mai un
briciolo di umanità; ma non perché si voglia spingere il tasto verso il
grottesco (dispiace fare ancora paragoni ma anche Fellini è un esempio troppo
lontano per questo Sorrentino) quanto per sottolineare, da parte dello stesso
regista, un’umanità irrecuperabile nella sua totalità e per questo (cosa
peggiore in assoluto) automaticamente assolta perché <i>così fan tutti</i>. A metà film cerco con lo sguardo i film di Ken
Loach nella mia videoteca per farmi un po’ di coraggio e ricordarmi che avere
etica nella vita è una dote ancora presente in qualcuno. Il film continua a
dispiegarsi nella sua (ripetitiva) descrizione del malessere della società. Io non
so più a cosa attaccarmi, penso a tutte le volte che ho scritto di Servillo
come il migliore interprete italiano e di quando parlavo di Sorrentino come la
grande promessa del nostro cinema. Rimango muto fino alla fine quando la voce
di Gabriella al mio fianco mi ricorda di avere sottoposto la mia compagna a questo
strazio di due ore. Ma lei sintetizza con una sola frase il senso di tutte
queste mie parole: “E’ l’Italia che rovina le persone”. Chapeau!<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sergio</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Teatroimpulsohttp://www.blogger.com/profile/17804660661186277598noreply@blogger.com2