Prima di addentrarmi (e giuro che non vedo l’ora) nell’analisi di questo film, è necessario definire cos’è Drive per evitare eventuali fraintendimenti e malintesi: non è né un action-movie né un thriller dalle venature pop, ma una semplice, e mi permetto di dire, meravigliosa storia d’amore, in cui violenza e rabbia totalizzante sono funzionali alla comprensione di ogni singola azione, a differenza dei film e dei registi a cui questa pellicola e Refn sono stati recentemente accostati (Tarantino per citarne uno).
Del nostro protagonista non abbiamo nessun dato anagrafico e questo contribuisce ad accrescere quell’alone di mistero e inquietudine che gli aleggia intorno; sappiamo solo che lavora in un’officina, fa lo stuntman in alcuni action-movie e arrotonda prestando servizio come autista per alcuni rapinatori di banche. Il Driver è silenzioso, composto, contenuto, un attento osservatore che non lascia nulla al caso, ma la sua vita sarà scossa dall’amore per la vicina di casa. Un amore che si nutre di silenzi, sguardi e piccoli sorrisi, ma non per questo meno profondo e intenso di quelli comunemente vissuti e incontrati; un vortice di passione che sembra travolgere quel mondo fatto di compostezza e autocontrollo, trovando la sua essenza in esplosioni di violenza necessari alla difesa delle persone amate. In quei gesti, così brutali, feroci e selvaggi si legge una dichiarazione d’amore a cui nemmeno le parole avrebbero potuto dare una simile profondità. Un “real hero” violento e dolce, feroce e umano allo stesso tempo.
Quello che colpisce è la scelta di raccontare una storia d’amore in cui prevalgono la rinuncia e il silenzio e di farlo attraverso lo sviluppo di un processo di autodistruzione necessario alla difesa della donna amata. E’ possibile parlare di amore, un amore puro e incondizionato, sporcandosi le mani di sangue? Decisamente sì. In questo spirale autodistruttivo l’amore non può prescindere dalla violenza e la violenza non può prescindere dall’amore. Non è più possibile definire dove finisca una e inizi l’altra, e non resta che vivere quelle emozioni così antitetiche, ma bisognose l’una dell’altra.
Alla fine nel film la violenza e la ferocia cedono il passo alla dolcezza e alla delicatezza, cancellando le macchie di sangue e i morti lasciati lungo il cammino. Se i gesti di violenza non sono altro che gesti d’amore, il Driver, bruto e silenzioso, è un uomo che deve fare i conti con sé stesso, il proprio amore e chi minaccia di distruggerlo.
La scena dell’ascensore, così delicata e violenta allo stesso tempo, è quella che meglio riassume le contraddizioni di questo sentimento.Valeria
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