Credo che alla domanda su quale sia la cinematografia più
innovativa dell’ultimo decennio avrei pochi dubbi nell’affermare che quella
rumena è tra la più meritevole di segnalazione. Come successe per il cinema
iraniano degli anni Ottanta o per quello coreano degli anni Novanta, adesso è
arrivato il turno della Romania. Un paese che sta proponendo autori di
altissimo livello i quali stanno riuscendo a dare il senso di un paese che,
dalla fine del periodo nero di Ceausescu, sembra vivere un eterno momento di
transizione. Registi come Cristi Puiu, Cristian Mungiu o Colin Peter Netzer
sono ancora purtroppo poco conosciuti rispetto al loro valore. Fu nel 2007 con
la palma d’oro a Cannes a Quattro mesi,
tre settimane e due giorni di Cristian Mungiu che iniziò il processo di
conoscenza verso una cinematografia ancora pochissimo nota.
Oltre
le colline (2012) è il quinto film di Mungiu, vincitore a Cannes
del premio per la migliore sceneggiatura e la migliore interpretazione
femminile. Una fortissima storia d’amore quella di Voichita e Alina (le due
bravissime Cosmina Stratan e Cristina Flutur). Dopo avere trascorso insieme l’infanzia
in un orfanotrofio le due ragazze si ritrovano in un monastero di collina dove
una delle due ragazze ha intrapreso un percorso di fede che la porta a un
isolamento quasi totale con il resto del mondo mentre l’altra, reduce da un
lavoro in Germania, vorrebbe portarsela via con lei essendo l’unica persona che
abbia mai amato. Il livello privato della storia si intreccia in maniera
magistrale con quello religioso e con quello sociale di un paese che, come affermavamo
prima, sembra vivere in un eterno limbo tra il vecchio regime comunista e una
modernizzazione ancora di là da venire. Il film è di una forza dirompente nel
descrivere il bisogno di amore fortissimo che le due ragazze inseguono dopo un’infanzia
negata in un paese che non ha dato punti di riferimento. Voichita si illude di
avere trovato questo amore all’interno del monastero e nella dedizione totale
alla comunità religiosa mentre Alina vorrebbe soltanto potere fuggire via dal
paese assieme alla sua amica per scappare via in un occidente visto come
salvezza (ma che rimane sempre indefinito e fuori campo).
Le due ragazze si muovono all’interno di un contesto
sociale e umano che sembra sempre sul punto di implodere per poi ricorrere a
una disperata, quanto salvifica, arte di arrangiarsi in attesa di tempi
migliori. Come ha affermato benissimo il sociologo romeno Vasile Dâncu “i personaggi dei nostri film sono cecoviani.
La Romania della transizione è un universo chiuso
da cui i personaggi cercano di evadere, ma ci riescono solo attraverso
l'illusione o la morte.” In
questo universo chiuso ci si trova davanti a dei personaggi mai veramente
cattivi ma completamente avvolti da un’idea assolutamente impermeabile della
vita, che sia il fanatismo religioso del prete e delle suore del monastero o
del senso di fatalismo del medico dell’ospedale. Il senso di oppressione di Alina,
l’unica che vede nella fuga la sola possibilità di salvezza da un lento ma
inesorabile soffocamento, non potrà che portare a degli scoppi di isteria forse
unica reazione umana a una società cloroformizzata.
Cinema prezioso quello di questi giovani
autori dell’est, ancora poco conosciuto da noi e ostacolato anche in patria
(per via della cattiva immagine che riflette della società rumena) ma ricchissimo di
contenuti e maestro di stile. Rigoroso e essenziale tanto da porsi come guida
per il futuro del cinema europeo.
Sergio
Buona visione
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