Il 23 dicembre del 2001 il museo
russo dell’Ermitage, una tempo residenza principale degli zar, resta chiuso al
pubblico per le riprese di Arca Russa.
Quattro anni di preparativi per un solo giorno di riprese. Un unico piano
sequenza, più di 90 minuti senza neanche uno stacco di montaggio. 867 attori e
più di mille addetti ai lavori, di cui ben 22 assistenti alla regia. Una
steady-cam di nuova generazione fatta costruire apposta per quest’esperienza.
Sebbene tutto ciò possa sembrare
un vezzo virtuosistico da ricerca del guinness dei primati piuttosto che una
scelta stilistica, questa difficile sfida cinematografica non è fine a se
stessa ma è assolutamente subordinata a un’esigenza narrativa.
Una ripresa morbida, delicata e
continua ci suggerisce lo scorrere del tempo conducendoci in un viaggio onirico
attraverso trecento anni di storia russa.
Fulcro di tutto il film è il
confronto tra i due protagonisti: “il Russo”, occhi e anima dell’inquadratura,
di cui sentiamo solo la voce, e “l’Europeo”, rappresentato da un diplomatico
francese del XIX secolo catapultato nella visione di Sokurov.
Metafora di Russia ed Europa, del
loro contorto rapporto di amore/odio, il loro diverso modo di percepire gli
eventi a cui assistono lascia lo spazio a numerose riflessioni e a pesanti
critiche verso la società russa odierna.
Insieme, quasi come fantasmi, il
Russo e l’Europeo assistono a momenti di privata brutalità di Pietro il Grande,
a uno spettacolo adibito per Caterina II, alle pubbliche scuse
dell’ambasciatore di Persia per l’attentato in cui restò ucciso Griboedov, a
momenti della vita familiare di Nicola II etc.
Una straordinaria lezione di
storia che funge da sostegno a un inno alla poesia, all’arte e alla bellezza.
Il compito di chiudere il film è
lasciato alla suggestiva scena del ballo di corte sulle note di Mikhail Glinka;
la macchina da presa balla insieme alle centinaia di comparse in una delle
scene visivamente più belle che abbia mai visto.
I dialoghi sono pochi, corti e
asciutti. Concetti semplici espressi con semplici parole. Il compito di evocare
un vasto spettro di emozioni è riservato alla profonda meraviglia delle
immagini che danzano su una musica altrettanto meravigliosa.
Mi lascia sbalordito pensare alla
mostruosa organizzazione necessaria per realizzare un simile lavoro. Una
coordinazione di circa duemila persone, più di ottocento attori truccati e in
costume pronti ai loro posti molto prima del loro turno. Un solo errore, anche
nei secondi finali, ed è tutto da ricominciare.
Un’esperienza straordinaria che ha avuto il merito di
regalare questa piccola perla alla Storia del Cinema.
Sono convinto che tra cent’anni, si studierà questo film come oggi si studiano le pellicole di Ejzenshtejn.
Sono convinto che tra cent’anni, si studierà questo film come oggi si studiano le pellicole di Ejzenshtejn.
A proposito di questo, non riesco a non sorridere pensando
che nella stessa scalinata dell’Ermitage in cui si chiude il film, poco meno di
cent’anni prima, Ejzenshtejn girava le sequenze finali di Ottobre, film altrettanto sperimentale, con dei tagli di montaggio
estremamente serrati per l’epoca. In pratica, con un progetto diametralmente
opposto, ma altrettanto geniale per i suoi tempi! :-)
Robin
Bravo Robin! Bel commento, fa davvero invogliare alla visione!
RispondiElimina