giovedì 8 marzo 2018

Agnès Varda e il cinema prima dell'onda


Spesso mentre gli uomini stanno a ragionare su come fare meglio una cosa e renderla al meglio delle proprie possibilità, si scopre che una donna, quella cosa, l’ha già fatta.


Studiando la storia del cinema non è raro imbattersi nella figura di donne straordinarie che sono riusciti a guardare avanti molto meglio di tanti uomini della loro generazione. Poi, chissà perché, vengono ricordate e celebrate molto meno di quanto non meriterebbero. Qualche giorno fa ricordavo la figura di Alice Guy Blaché che per prima scoprì le potenzialità che il cinema poteva avere in ambito narrativo praticamente all’indomani della celebre presentazione dei fratelli Lumière. Praticamente inventò la sceneggiatura per il cinema ma pochi la conoscono. 
Negli anni Cinquanta il dibattito critico all’interno del cinema francese era surriscaldato soprattutto grazie ai quei ragazzi terribili che scrivevano sui Cahiers du Cinéma e auspicavano un cinema nuovo, libero, vero, lontano da quel “cinema di papà” (come era chiamato con disprezzo) che era ormai diventato il cinema contemporaneo, soprattutto quello francese. Quei ragazzi si chiamavano Truffaut, Godard e Rohmer e a partire dal 1959 avrebbero iniziato a dirigere delle opere che cambieranno per sempre il modo di intendere il cinema. Ma mentre loro scrivevano articoli di fuoco dalle pagine della rivista francese (che per ogni cinefilo ha quasi l’autorità di una sentenza della Corte di Cassazione), una ragazza di ventisei anni, gira nel 1954, una pellicola che a detta di molti è il primo film della Nouvelle Vague. Quella ragazza si chiamava, o meglio si chiama, perché per fortuna è ancora viva ed è una splendida donna di ottantanove anni, Agnès Varda.
Aveva girato con pochissimi mezzi ma tantissima originalità e libertà espressiva “La pointe courte”. Come protagonista un ancora sconosciuto Philippe Noiret. Le riprese furono poi montate da un tale che avrebbe contribuito a fare la storia del cinema ma che allora era ancora all’inizio della sua carriera. Si chiamava Alan Resnais e ogni amante del cinema sa benissimo quello che ha realizzato. Resnais guardando il materiale girato da quella giovane ragazza si permette di fare un paragone con “La terra trema” di Visconti. La Varda non era però una cinefila militante, lei ricorda che allora non sapeva neanche che a Parigi ci fosse una cineteca. Quando il film della Varda esce non avrà il clamore che cinque anni dopo pellicole come “I quattrocento colpi” o “Fino all’ultimo respiro” porteranno all’esplosione della Nouvelle Vague ma è impossibile non vedere in quell’opera tutti i segni che i giovani critici dei Cahiers auspicavano per il “nuovo” cinema. Passarono sette anni da quella pellicola prima che Agnès Varda riuscisse a realizzare un’altra opera. Era il 1961 e realizza un altro grande film “Cléo dalle 5 alle 7”. Questa volta, dopo la svolta del 1959, viene acclamata e riconosciuta come un’importante autrice del movimento. Ma lei con i giovani turchi della nouvelle vague non è che avesse fatto proprio un percorso in comune. Chi recuperava il film del 1954 la considerava la vera iniziatrice della nuova onda. Lei scherzando ricorda che nonostante non avesse ancora trent’anni, la chiamavano la nonna della nouvelle vague.
Agnès Varda continuerà a girare ancora diversi film nella sua carriera (alcuni bellissimi come “Senza tetto né legge” o “Garage Demy”) e ancora lo scorso anno riesce a presentare a Cannes un’opera sorprendente per freschezza e originalità “Visages Villages” girata assieme a uno street artist di trentaquattro anni: un viaggio attraverso le strade francesi a bordo di un camioncino per immortalare i volti delle persone incontrate e stimolare un dibattito straordinario sul tema dell’identità. A Cannes hanno avuto un grande successo e questa meravigliosa nonna sembra molto più giovane di tanti autori contemporanei.

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