Dalla visione di un film che ha vinto la palma d’oro a Cannes ci si
aspetta sempre tanto. Anche se hai sempre pensato che il regista, il franco
tunisino Abdellatif Kechiche, sia sempre stato sopravvalutato rispetto alle sue
capacità.
Con La vita di Adele ritengo
si arrivi a un punto di non ritorno. Cercare di comprendere il perché quest’opera
abbia riscosso un entusiasmo così elevato mi riesce francamente complicato. Il
trattare in maniera visivamente forte il
tema di un amore omosessuale mi sembra (per fortuna) ormai superato nel nostro
presente così come le numerose scene di nudo che tanto scandalo hanno fatto
alla presentazione del film e che sono state abilmente pubblicizzate per
logiche commerciali.
Per quasi tre ore assistiamo alla formazione sentimentale della
protagonista Adele (peraltro una bravissima e ancora poco nota attrice: Adele
Exarchopoulos) che insoddisfatta dalle esperienze eterosessuali scopre di
essere attratta dalle donne; la sua storia d’amore con Emma diventa il centro
del film facendoci assistere alla presa di coscienza, fisica e mentale, di una
ragazza alle prese con la conoscenza di sé. Nel film non succede niente di
straordinario, nulla che non succeda quotidianamente a ogni essere umano
adolescente nella formazione della propria identità e che lo porterà a scelte
importanti per la propria crescita. E allora perché quello che succede ad Adele
dovrebbe colpirmi in modo così profondo? Non sono capace di provare empatia o
esiste qualcos’altro?
Più passa il tempo e più la penso come il maestro Hitchcock quando
affermava che il cinema non è una fetta di vita ma una fetta di torta. Con ciò
non voglio naturalmente affermare che non possa esistere altro modo di fare
cinema ma che trasportare nel linguaggio cinematografico ciò che, per sua
natura, è di stretta competenza della letteratura, non è operazione facile per
chiunque. Nei corsi di sceneggiatura si impiega molto tempo a spiegare come una
trama necessiti di un suo climax narrativo e costruire storie in cui gli eventi
non progrediscono ha un coefficiente di difficoltà altissimo. Fare un racconto di
formazione per immagini senza chiamarsi Eric Rohmer è un’operazione non alla
portata di tutti e le, pur discrete, capacità registiche di Kechiche non sono
di certo sufficienti a tale impresa.
Termini il film avendo l’impressione che questa storia non ti abbia
dato niente di più rispetto a ciò che non conoscessi già sull'argomento. Basta aver vissuto e avere fatto
buone letture per sapere che la vita di Adele non ha nulla di originale e non
ti arricchisce da nessun punto di vista. Al cinema serve qualcosa di più per
assolvere alla sua funzione culturale.
Sergio
Concordo pienamente.
RispondiEliminaMi è sembrato però di capire che la storia non finisce qui e che ci sia un seguito, ma , viste le premesse del film non credo ci sia molto altro da raccontare
Mio carissimo Sergio, mi rendo conto –e ne sono felice, perché sai quanto ti ammiro :)- che questo film l’ho capito un po’ più di te. Cioè tu l’hai capito e non capito. Lentezza esasperante? Sì. Ma prima vedevamo gli spaghetti dentro la bocca di Adele, poi (grazie anche all’attrice meravigliosa…) le sue lacrime e, alla fine, onestamente, ho avuto l’impressione di esserci anch’io nella sua vita. Quanto al resto: amore omossessuale? Nessuno scandalo. Sesso saffico? Ma figuriamoci, è ovunque. Ok. Ma il punto è che il film non parlava di questo e chi lo ha guardato e lo ha pensato, devo dire, che un po’ s’è fatto infinocchiare dai media che tanto ne hanno detto e scritto.
RispondiEliminaLa cosa bella film è stata vedere una coppia gay, ma fregarsene. Poteva essere una coppia di qualunque etnia, razza, potevano essere due alieni: poco sarebbe cambiato. Ho visto il film al cinema: pubblico adulto, composto, nessuno che ha abbandonato il film prima della fine. Forse che le cose stanno cambiando? Capiscimi, ho visto di meglio, ma la Vita di Adele non vuole essere un MANIFESTO, di nessun tipo. Dunque ci hanno parlato di Adele e Emma. Che sono lesbiche e non interessa a nessuno. La portata di un fattore come questo è inimmaginabile. Certo, tu fai il tecnico, e bla bla, ma io, devo dire, ho apprezzato anche la quasi totale assenza di colonna sonora, l’enfatizzazione del cibo, del pianto, del sesso, di ogni azione senza senso (ma non è tutto fatto di tante azioni senza senso?).
Ho capito Sergio, non t’è piaciuto perché volevi ’happy ending. Ma non essere triste, se fosse stato un film lesbico una delle due sarebbe morta, di sicuro!
Cristina, ex allieva e amica ;)
Ciao Cristina, felice di sentirti. Il fatto che il film possa suscitare pareri discordanti mi sembra sacrosanto anche se non parlerei di capacità di comprensione o meno. Semplicemente ci sono opere che ci emozionano o meno a seconda degli strumenti critici che mettiamo in campo. Io con i miei mi sono annoiato mentre tu, con i tuoi, sei riuscita a entrare dentro la vita delle protagoniste. Il bello della critica... Mai pensato che il film fosse un manifesto (sai cosa penso dei film a tesi) semplicemente mi è sembrato un'operazione artisticamente poco riuscita. Riguardo all'happy ending la prendo come una battuta, il mio giudizio non sarebbe, ovviamente, cambiato. Un abbraccio.
EliminaConcordo pienamente con il commento di Cristina. Trovo molto superficiale che uno studioso di cinema (se ho capito bene) lo definisca un film che tratta il tema di un amore omosessuale. Non c'è peggior modo di approcciarlo. Hai forse inconsciamente chiuso il film dietro una logica schematica e a priori. Il tuo commento più che porre una riflessione sul film sembra essere quasi totalmente trascinato da meccanismi non pertinenti, come le diatribe capolavoro/non capolavoro, pubblicità di un certo tipo, costruzione del climax, eterosessualità/omosessualità... ma chi se ne frega. A me il film ha emozionato proprio per il modo in cui racconta i personaggi, così imperfetti, senza alcuno scivolamento nel giudizio e soprattutto la descrizione pura, tenera e crudele degli affetti, della sessualità e della socialità. Il punto non è capire se Adele cresca o meno, capisca o meno, ma viverle addosso. Non è originale il plot ovviamente, ma il modo di ribadire che ogni persona è originale anche se vive esperienze comuni. Voyeurismo che può piacere o meno, a me è piaciuto, l'ho trovato molto pudico, dolce, a volte crudele, come la vita. Questa la chiamo funzione culturale.
RispondiEliminaQuando si parla in maniera non positiva di un film si è sempre pronti a deludere qualcuno a cui quella stessa opera è invece piaciuta. Dal confronto poi si cerca, in teoria, di crescere reciprocamente. Come risposta al commento precedente avevo evidenziato il fatto che ognuno mette in gioco le conoscenze che ha nel valutare un'opera. Con questi strumenti (frutto dello studio unico di ognuno di noi) si elaborano poi dei giudizi, magari rivedibili con il tempo ma sempre meritevoli di rispetto. Mi dispiace che su alcuni aspetti da me trattati tu possa uscirtene con "chi se ne frega". Su questa base non posso certo sperare di creare un confronto. Che il film a te, come a tanti altri, possa essere piaciuto lo prendo come un sacrosanto risultato di sensibilità diverse. Ma le differenze aiutano a crescere non a isolarsi.
RispondiEliminaNon ho poi detto che il film tratta il tema di un amore omosessuale ma che tratta della formazione sentimentale della protagonista (cosa ben diversa).
"Il trattare in maniera visivamente forte il tema di un amore omosessuale mi sembra (per fortuna) ormai superato nel nostro presente"
RispondiEliminami riferivo a questo. E, ripeto, il film obiettivamente non tratta il tema di un amore omosessuale in maniera forte.
Il "chi se ne frega" non era riferito a quanto da te scritto, ci mancherebbe, ma sui cliché di pensiero che non hanno nulla a che fare con il sottotesto filmico. Cliché nei quali, ahimè, sei ingenuamente scivolato.
Grazie del chiarimento, anche se continuo a credere che nell'esercizio critico non ci sia bisogno di contrapposizione (io vedo bene e tu sei scivolato ingenuamente). Semplicemente ci si confronta e (si prova) a comprendersi senza mai pensare di essere portatori assoluti di verità. Studio cinema da più di vent'anni e ho sempre cercato con i miei allievi un confronto costruttivo che parta da riflessioni libere sul linguaggio cinematografico senza però perdere mai di mira gli strumenti del mestiere. Quelli che permettono di leggere un'opera anche al di là del personale impatto emotivo.
RispondiEliminaPurtroppo nelle parole "tu fai il tecnico e bla bla bla", riscontro ancora una volta un atteggiamento che tende a far prevalere nel giudizio l'aspetto emotivo su quello artistico. L'aspetto tecnico nell'arte non è noioso, non è da critico col sopracciglio alzato ma è la base fondamentale per dialogare all'interno del sistema dell'arte. Altrimenti finiamo sempre all'interno della logica infruttuosa del "però a me ha emozionato". Le emozioni dipendono dal nostro vissuto, non dalla bravura dell'artista. L'artista si riferisce ad un contesto e deve farlo con tecnica e competenza.
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