domenica 8 novembre 2015

Alain Delon - Ottant'anni di un uomo



Quando nel 1990 Jean Luc Godard lo scelse come protagonista per un suo film sembra che giustificò questa sua scelta dichiarando “avevo bisogno di uno che non sapesse recitare…”. Certamente solo a uno come Godard, e a pochissimi altri, si poteva permettere di lasciare impunita una simile affermazione così netta nei confronti di una vera e propria icona del cinema francese. Eppure andando a spulciare tra i giudizi dei critici che nel corso degli anni lo hanno messo al centro delle loro analisi non è raro imbattersi in giudizi non troppo lusinghieri nei suoi riguardi. Sicuramente il fatto di avere interpretato tantissimi film e non tutti di alta qualità (destino comune per tanti grandi attori), ha contribuito a rendere meno evidente la sua bravura. Possedere poi una faccia come la sua, che ha fatto perdere la testa a generazioni di donne, non aiuta chi mal concilia la bellezza fisica con la bravura (e anche Marilyn ne sapeva qualcosa).
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Delon è stato, ed è, un grandissimo interprete cinematografico ma solo se modellato dalle mani di un autore sensibile che sapesse tirare fuori dalla sua figura il meglio. Pochi ci sono riusciti ma ogni volta che questo accadeva si compieva il miracolo. Da giovane ragazzo appassionato di cinema, ma ancora acerbo nel gusto, vidi diversi film con Alain Delon, erano soprattutto quelli più commerciali come Zorro o Airport ’80 che mi davano l’impressione del solito divo lontano e finto, possibile nella sua esistenza soltanto se impresso nella pellicola cinematografica. Non vedevo l’uomo dietro l’interprete. Questo successe per diverso tempo. Poi la mia evoluzione di spettatore mi fece scoprire capolavori come Rocco e i suoi fratelli di Visconti o Mr. Klein di Losey. Ecco che dietro quella maschera di bellezza dell’attore Delon cominciavo a vedere qualcosa di più. Quegli occhi blu ma glaciali dove rischiavi di venire travolto da un’incontrollata cascata di emozioni. Quella malinconia di fondo che ne faceva un interprete da non usare in ruoli brillanti o da commedia senza perderne irrimediabilmente qualcosa di importante. Poi, in un pomeriggio d’estate abbastanza anonimo di una ventina d’anni fa, arriva il miracolo a cui mi riferivo. Guardo La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, grandissimo autore italiano purtroppo non considerato come meriterebbe. Delon interpreta un professore di liceo di Rimini (una città lontana anni luce dall’immaginario felliniano); vestito con un maglione verde e un cappotto color cammello: il cinema compie la magia di rendere eterno un personaggio. Ancora oggi ogni volta che penso a Delon lo immagino vestito con quel cappotto, quello sguardo malinconico di chi alla vita non ha più molto da chiedere ma, nonostante questo, non rinuncia a essere vivo. Con disillusione certo, con la consapevolezza che per quanti sforzi riesci a fare la gioia ti scivolerà sempre tra le dita come la pioggia del cielo. Fu grazie a quel film che mi legai all’attore Delon in maniera fortissima. Cominciai a vedere tutti i suoi lavori, anche i meno riusciti per ritrovare, fosse anche per un attimo, quella strana luce dei suoi occhi, quella malinconia di chi ha tutto vissuto e guarda il mondo con una consapevolezza fuori dall’ordinario. Naturalmente anche l’uomo Delon cominciava a interessarmi, quello sguardo era solo frutto della sua capacità interpretativa o era un suo segno distintivo personale? Alla fine degli anni Cinquanta, tra le tante storie d’amore fra divi del grande schermo, quella tra Alain Delon e Romy Schneider fu tra le più celebri. La grandissima attrice venuta alla ribalta interpretando la principessa Sissi ma confermatasi in futuro come una delle più importanti interpreti del Novecento (personalmente la ritengo allo stesso livello della Bergman e della Magnani) e musa dei più importanti registi francesi degli anni Sessanta e Settanta. La storia tra Delon e la Schneider durò circa cinque anni ma i due rimasero amici per tutta la vita. Una volta la Schneider dichiarò che una storia d’amore rimane unica quando ci si continua a chiamare, a lanciarsi dei richiami per non perdersi mai. Subentrano altre storie, altri tradimenti, figli, felicità con altri ma una sola rimane la storia d’amore della vita. Continuò dicendo che Delon rimaneva l’unica persona sulla quale poteva contare, l’unico che sarebbe accorso al suo primo richiamo aggiungendo che però lui non le aveva mai scritto nemmeno una lettera ma solo biglietti. Il destino fu molto duro con la Schneider, la vita le tolse un figlio ancora adolescente e da quella perdita lei non riuscì mai più a riprendersi tanto che anche lei morì dopo meno di un anno. La vita prende tante altre strade e sia la Schneider che Delon avevano costruito altre esistenze ma la notizia della morte del suo antico amore fu devastante. Quella sera sul letto di morte della Schneider, Delon trascorse parecchie ore, volle restare solo con lei, le scattò delle foto che porta sempre con sé e non andò al suo funerale; il giorno seguente alla sua sepoltura rimase sulla sua tomba per molte ore. Quella notte, mentre l’accudiva sul letto di morte, le scrisse la sua unica lettera d’amore che ancora oggi riesce a commuovermi. Questi sono alcuni passi:
“Ti guardo dormire. Sono accanto a te, sei vestita di una lunga tunica nera e rossa, ricamata sul petto. Sono fiori, credo, ma non li guardo. Ti dico addio, il più lungo degli addii, mia Puppelé . È così che ti chiamavo, "Piccola bambola" in tedesco. Non guardo i fiori ma il tuo viso e penso che sei bella, e che forse non lo sei mai stata così tanto. Per la prima volta nella mia vita - e nella tua - ti vedo serena, in pace. Come sei calma, come sei bella. Sembra che una mano abbia dolcemente cancellato dal tuo viso tutte le angosce”
“Ti guardo dormire , dicono che sei morta. Penso a te, a me, a noi. Di che cosa sono colpevole? Ci si pone una domanda simile davanti una donna che si è amata e che si ama ancora”
“Ti guardo dormire . Ieri ancora eri viva. Era notte. Appena rientrati a casa hai detto a Laurent "va a dormire, vengo tra poco. Resto un po' con David ascoltando musica". Facevi così ogni sera... Volevi restare sola con il ricordo di tuo figlio morto, prima di andare a dormire”
“Non verrò in chiesa né al cimitero , ti chiedo perdono perché sai che non riuscirò a proteggerti dalla folla, da questo tormento così avido di "spettacolo" che ti faceva tremare. Verrò a trovarti il giorno dopo, e noi saremo soli. Mia Puppelé, ti guardo ancora e ancora. Voglio divorarti di sguardi. Riposati. Sono qui, vicino. Ho imparato un po' di tedesco, grazie a te. Ich liebe dich . Ti amo. Ti amo, mia Puppelé”.

Buon ottantesimo compleanno.

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