I rapporti tra l’opera e il cinema sono da sempre stati
intensi e pieni di accostamenti spesso nobili. Grandi maestri del cinema si
sono misurati nel passato con il ricco repertorio operistico. Abbiamo avuto chi,
come Werner Herzog, ha preferito curare esclusivamente la regia a teatro di
opere come La donna del lago di
Rossini scindendo il mezzo cinematografico da quello musico teatrale. Di contro
registi come Joseph Losey o Ingmar Bergman hanno inserito nella loro
filmografia delle vere e proprie trasposizioni operistiche (il Don Giovanni per il regista inglese e Il flauto magico per il maestro
svedese). In ogni caso non è sicuramente sbagliato affermare che il ricco
patrimonio musicale e narrativo presente nella letteratura operistica ha
esercitato un enorme fascino su molti grandi registi cinematografici.
Da amante del cinema, ma non esperto di musica d’opera,
ho sempre avuto un certo timore nell’esprimere un giudizio sugli adattamenti
cinematografici delle grandi opere liriche. I soli strumenti del critico cinematografico
mi sono sempre sembrati insufficienti per valutare la complessità di un
linguaggio musicale così ricco come, ad esempio, quello mozartiano.
Con questo mio solito timore mi sono avvicinato alla
visione di “Io, don Giovanni” di
Carlos Saura, grande maestro del cinema spagnolo che però negli ultimi anni
sembrava in fase discendente. Saura aveva già trasposto al cinema la Carmen di Bizet realizzando un’opera di
grande fascino ma che richiedeva una competenza e un amore preciso per la musica
d’opera per potere essere apprezzata fino in fondo. La piacevolissima sorpresa
che ho invece avuto guardando questa ennesima riproposizione mozartiana sta nel
fatto che, in questo caso, il cinema non arretra di fronte alla nobiltà della
musica e del libretto ma è a pieno titolo protagonista dell’opera con pari
dignità e rivendicando (forse) un certo predominio. Mentre fino ad ora avevo
visto delle opere cinematografiche che (per quanto curate) erano degli accompagnamenti
rispettosi delle opere, con questo film Saura ci racconta la genesi dell’opera
di Mozart a partire dall’arrivo di Da Ponte a Vienna e del suo ingresso nella
corte viennese dell’epoca. Così facendo il regista spagnolo compone (è proprio il
caso di dirlo) un’opera di perfetto equilibrio tra linguaggio cinematografico e
musicale. Impossibile dire se predomini il cinema o la musica e questo permette
a chi non ha grandi conoscenze musicali di apprezzare le arie che Saura
inserisce in un incastro equilibratissimo di narrazione filmica e operistica.
Il racconto dell’amicizia tra Da Ponte e Mozart cammina di pari passo con le
prove della messinscena del Don Giovanni facendoci gustare i due racconti
paralleli senza farci sentire irrimediabilmente a disagio per le nostre non
eccelse conoscenze musicali. Le curatissime scenografie e la splendida
fotografia curata da Vittorio Storaro contribuiscono in maniera decisiva per
regalarci un film che credo possa mettere tutti d’accordo, cinefili e melomani,
nel godimento di un’opera che sintetizza al meglio le grandi capacità
espressive di ogni mezzo.
Sergio
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