lunedì 15 ottobre 2012

Jules Dassin - La città nuda




Sarebbe possibile fare due storie del cinema, accanto a quella ufficiale composta da tutti i film arrivati in sala e più o meno apprezzati da pubblico e critica, ci potrebbe essere quella di tutti i film che avremmo dovuto vedere ma che interventi successivi realizzati da censori e produttori insoddisfatti non ci hanno permesso di farlo.
I casi sono talmente tanti che si può realmente parlare di una storia del cinema parallela; delle volte, a distanza di anni, torna in luce la versione originaria prima delle mutilazioni selvagge. E’ il caso per esempio del capolavoro di Jean Luc Godard “Il disprezzo” che nella versione imposta dal produttore Carlo Ponti è un film abbastanza insulso mentre nella versione originale del regista (comunemente detta director’s cut) è un vero e proprio capolavoro. Purtroppo molte altre volte non saremo mai in grado di ammirare la versione originale semplicemente perché non esiste (più).
Guardando “La città nuda” di Jules Dassin tocchi con mano la frustrazione di essere vicini a un capolavoro che per colpa di un produttore cieco non si potrà mai vedere. Dassin è uno di quei registi statunitensi che ha conosciuto una delle peggiori stagioni del cinema statunitensi, quella della cosiddetta “caccia alle streghe” voluta dal senatore repubblicano Mc Carthy contro tutti i lavoratori del mondo del cinema sospettati di essere simpatizzanti comunisti. Gli anni Cinquanta videro spegnersi decine di carriera nel mondo del cinema, famosi registi e attori condannati all’espatrio o al silenzio forzato solo perché erano o erano stati (magari in giovinezza) simpatizzanti di sinistra o perché qualcuno aveva fatto una testimonianza a tuo sfavore. Un periodo terribile che meriterebbe sicuramente un’analisi approfondita.
La città nuda uscì in sala nel 1948 ma al produttore Mark Hellinger non andava del tutto bene il lavoro fatto da Dassin ragion per cui pensò di rimontarlo sottraendo all’opera una parte consistente di fascino solo per cercare di rendere il film più commerciabile, in questo senso l’uso della voce fuori campo per commentare la trama è una delle scelte più deleterie che si potessero fare. La grandiosità del film, che rientra nel filone dorato dei noir americani, sta nell’ambientazione che (tra le prime volte) era totalmente en plen air, niente studi solo la città di New York ripresa in maniera magistrale dall’operatore William Daniels  (quello di Rapacità di Von Stroheim). La macchina da presa che vaga tra le vie e i grattacieli della città sono un vero e proprio monumento poetico mentre la perfetta struttura della trama, il misterioso omicidio di una modella, contribuisce al fascino dell’opera. Della lezione di ripresa urbana si ricorderà, qualche anno dopo, Stanley Kubrick quando girerà Killer’s kiss.
Con La città nuda New York ha l’equivalente di ciò che Berlino ebbe con il film di Ruttman del 1929 Berlino, sinfonia di una grande città. Bisognerà attendere un bel po’ prima di rivedere una New York così vera al cinema… ci penserà Cassavetes nel 1959 con Shadows e poi Scorsese e Allen negli anni Settanta con i loro capolavori Taxi driver e Manhattan. Da consigliare, oltre a che agli amanti del buon cinema, a tutti gli studiosi di architettura urbana.

Sergio