Sarebbe possibile fare due storie del cinema, accanto a
quella ufficiale composta da tutti i film arrivati in sala e più o meno
apprezzati da pubblico e critica, ci potrebbe essere quella di tutti i film che
avremmo dovuto vedere ma che interventi successivi realizzati da censori e
produttori insoddisfatti non ci hanno permesso di farlo.
I casi sono talmente tanti che si può realmente parlare
di una storia del cinema parallela; delle volte, a distanza di anni, torna in
luce la versione originaria prima delle mutilazioni selvagge. E’ il caso per
esempio del capolavoro di Jean Luc Godard “Il
disprezzo” che nella versione imposta dal produttore Carlo Ponti è un film
abbastanza insulso mentre nella versione originale del regista (comunemente
detta director’s cut) è un vero e proprio capolavoro. Purtroppo molte altre
volte non saremo mai in grado di ammirare la versione originale semplicemente
perché non esiste (più).
Guardando “La città
nuda” di Jules Dassin tocchi con mano la frustrazione di essere vicini a un
capolavoro che per colpa di un produttore cieco non si potrà mai vedere. Dassin
è uno di quei registi statunitensi che ha conosciuto una delle peggiori
stagioni del cinema statunitensi, quella della cosiddetta “caccia alle streghe”
voluta dal senatore repubblicano Mc Carthy contro tutti i lavoratori del mondo
del cinema sospettati di essere simpatizzanti comunisti. Gli anni Cinquanta
videro spegnersi decine di carriera nel mondo del cinema, famosi registi e
attori condannati all’espatrio o al silenzio forzato solo perché erano o erano
stati (magari in giovinezza) simpatizzanti di sinistra o perché qualcuno aveva
fatto una testimonianza a tuo sfavore. Un periodo terribile che meriterebbe
sicuramente un’analisi approfondita.
La città nuda uscì in sala nel 1948 ma al produttore Mark
Hellinger non andava del tutto bene il lavoro fatto da Dassin ragion per cui
pensò di rimontarlo sottraendo all’opera una parte consistente di fascino solo
per cercare di rendere il film più commerciabile, in questo senso l’uso della
voce fuori campo per commentare la trama è una delle scelte più deleterie che
si potessero fare. La grandiosità del film, che rientra nel filone dorato dei
noir americani, sta nell’ambientazione che (tra le prime volte) era totalmente en plen air, niente studi solo la città
di New York ripresa in maniera magistrale dall’operatore William Daniels (quello di Rapacità
di Von Stroheim). La macchina da presa che vaga tra le vie e i grattacieli
della città sono un vero e proprio monumento poetico mentre la perfetta struttura
della trama, il misterioso omicidio di una modella, contribuisce al fascino
dell’opera. Della lezione di ripresa urbana si ricorderà, qualche anno dopo,
Stanley Kubrick quando girerà Killer’s
kiss.
Con La città nuda New York ha l’equivalente di ciò che
Berlino ebbe con il film di Ruttman del 1929 Berlino, sinfonia di una grande città. Bisognerà attendere un bel po’
prima di rivedere una New York così vera al cinema… ci penserà Cassavetes nel
1959 con Shadows e poi Scorsese e
Allen negli anni Settanta con i loro capolavori Taxi driver e Manhattan.
Da consigliare, oltre a che agli amanti del buon cinema, a tutti gli studiosi di
architettura urbana.
Sergio
Caro Sergio, solo un piccolo compendio a quanto hai scritto su Dassin e The Naked City.
RispondiEliminaLa pratica diffusasi in Europa nel dopoguerra per necessità, il girare in esterni (on location, si direbbe oggi), fu vista da alcuni registi Usa come un'opportunità per raccontare con più forte realismo i contrasti sociali del loro mondo. Certo, questo avveniva all'interno di film di genere e magari poteva sembrare non al centro dell'obiettivo.
Invece Dassin approfitta del poliziesco The Naked City e ci mostra, nella sua oggettività, quale lotta sociale brulichi in una grande città. Un filo lega tutti i personaggi: dall'insigne medico al lottatore killer. Nessuno, moralmente, si salva e non importa se le responsabilità sono diversamente attribuibili: "non sono gigli, ma pur sempre figli: vittime di questo mondo", come diceva il Poeta.
Uno sguardo così disincantato e "sociologico", che poco piacque alla Commissione Mc Carty, la quale vedeva tutto ciò che esulava dal manicheismo come anti-americano.
Dassin vide bene di emigrare in Europa e trovò il modo di lasciare qualche film ben fatto che varrebbe la pena di essere studiato, oltre che goduto per lo spettacolo che offre.
Un caro saluto.