lunedì 28 ottobre 2013

Oltre le colline - Cristian Mungiu


Credo che alla domanda su quale sia la cinematografia più innovativa dell’ultimo decennio avrei pochi dubbi nell’affermare che quella rumena è tra la più meritevole di segnalazione. Come successe per il cinema iraniano degli anni Ottanta o per quello coreano degli anni Novanta, adesso è arrivato il turno della Romania. Un paese che sta proponendo autori di altissimo livello i quali stanno riuscendo a dare il senso di un paese che, dalla fine del periodo nero di Ceausescu, sembra vivere un eterno momento di transizione. Registi come Cristi Puiu, Cristian Mungiu o Colin Peter Netzer sono ancora purtroppo poco conosciuti rispetto al loro valore. Fu nel 2007 con la palma d’oro a Cannes a Quattro mesi, tre settimane e due giorni di Cristian Mungiu che iniziò il processo di conoscenza verso una cinematografia ancora pochissimo nota.
Oltre le colline (2012) è il quinto film di Mungiu, vincitore a Cannes del premio per la migliore sceneggiatura e la migliore interpretazione femminile. Una fortissima storia d’amore quella di Voichita e Alina (le due bravissime Cosmina Stratan e Cristina Flutur). Dopo avere trascorso insieme l’infanzia in un orfanotrofio le due ragazze si ritrovano in un monastero di collina dove una delle due ragazze ha intrapreso un percorso di fede che la porta a un isolamento quasi totale con il resto del mondo mentre l’altra, reduce da un lavoro in Germania, vorrebbe portarsela via con lei essendo l’unica persona che abbia mai amato. Il livello privato della storia si intreccia in maniera magistrale con quello religioso e con quello sociale di un paese che, come affermavamo prima, sembra vivere in un eterno limbo tra il vecchio regime comunista e una modernizzazione ancora di là da venire. Il film è di una forza dirompente nel descrivere il bisogno di amore fortissimo che le due ragazze inseguono dopo un’infanzia negata in un paese che non ha dato punti di riferimento. Voichita si illude di avere trovato questo amore all’interno del monastero e nella dedizione totale alla comunità religiosa mentre Alina vorrebbe soltanto potere fuggire via dal paese assieme alla sua amica per scappare via in un occidente visto come salvezza (ma che rimane sempre indefinito e fuori campo).
Le due ragazze si muovono all’interno di un contesto sociale e umano che sembra sempre sul punto di implodere per poi ricorrere a una disperata, quanto salvifica, arte di arrangiarsi in attesa di tempi migliori. Come ha affermato benissimo il sociologo romeno Vasile Dâncu “i personaggi dei nostri film sono cecoviani. La Romania della transizione è un universo chiuso da cui i personaggi cercano di evadere, ma ci riescono solo attraverso l'illusione o la morte. In questo universo chiuso ci si trova davanti a dei personaggi mai veramente cattivi ma completamente avvolti da un’idea assolutamente impermeabile della vita, che sia il fanatismo religioso del prete e delle suore del monastero o del senso di fatalismo del medico dell’ospedale. Il senso di oppressione di Alina, l’unica che vede nella fuga la sola possibilità di salvezza da un lento ma inesorabile soffocamento, non potrà che portare a degli scoppi di isteria forse unica reazione umana a una società cloroformizzata.


Cinema prezioso quello di questi giovani autori dell’est, ancora poco conosciuto da noi e ostacolato anche in patria (per via della cattiva immagine che riflette della società rumena) ma ricchissimo di contenuti e maestro di stile. Rigoroso e essenziale tanto da porsi come guida per il futuro del cinema europeo.

Sergio

Buona visione

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