Guardare opere prime come Tyrannosaur di Paddy Considine riesce a darti, oltre a un
indiscutibile piacere cinematografico, il senso della distanza che separa la
maggior parte del cinema italiano (soprattutto di quello giovane) da quello degli altri paesi. Il cinema inglese continua
invece a confermarsi come una delle scuole migliori al mondo specialmente
quando si tratta di parlare di temi sociali.
Il volto di Peter Mullan, splendido protagonista del
film, è sicuramente una garanzia di qualità. Conosciuto in Italia sia come
regista (Orphans e Magdalene) che come attore di registi
culto (My name is Joe di Ken Loach su
tutti), la sua interpretazione di Joseph, un vedovo di mezza età che vive da
solo divorato da una rabbia incontrollabile verso tutto, è di quelle da
ricordare. Ambientato in una delle tante periferie grigie delle città inglesi
la scenografia sembra quella dei film di Ken Loach o Mike Leigh ma, a differenza
dei film dei due maestri della working class, in Considine non esiste la
componente politica. Tyrannosaur parla di solitudine, dura, pura, quasi spirituale.
In questa solitudine l’incontro di Joseph con Hannah (una strepitosa Olivia
Colman attrice di altissimo livello) sembra l’unione di due derive. Hannah
proviene però da un ambiente diverso. Cattolicissima e abitante dei quartieri
borghesi della città, sembra la classica donna che viene in periferia per fare
quella beneficenza utile per rimettere a posto la propria coscienza; ma il suo
privato è ancora più devastato di quello di Joseph. Un soggetto che sarebbe
potuto diventare l’ennesimo (e inguardabile) mattone melodrammatico diventa
nelle mani del giovane regista britannico un’opera di grande arte
cinematografica oltre che di altissima poesia visiva. La redenzione nella vita esiste
al di là delle consolazioni religiose; nel pieno di un totale disfacimento dei
valori umani la macchina da presa di Considine inserisce, quasi incidentalmente
(e per questo in modo ancora più efficace) piccoli squarci di luce. Momenti in
cui la vita si prende la rivincita sulla morte, sulla negatività, come nella
bellissima sequenza del pub dove la riunione per un amico scomparso diventa l’occasione
per ritrovare il calore umano e la gioia della condivisione.
Non era facile, con un soggetto del genere, riuscire a
predisporci a un paradossale, ma solido ottimismo. Considine ci riesce usando
gli strumenti del cinema, quello alto. Grande scrittura e grandissimi
interpreti, zero effetti speciali e voli pindarici della macchina da presa.
Quanto mi piacerebbe scoprire che anche il cinema italiano possa essere (di
nuovo) in grado di girare film simili.
Sergio
Clip dal film:
Sergio
Clip dal film:
non avrei saputo aggiungere altro e di meglio alla tua recensione: un film solido e al tempo stesso pregno di colori, di rughe sul volto e di ferite sul corpo, qualcosa ci consola alla fine della visione ma non sappiamo definirlo nè sappiamo quanto durerà ... considine è un grande attore ma ho il fondato dubbio che anche dietro la macchina da presa possa produrre bellezza
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