Piccole storie di cinema - Nella Russia d’inizio Novecento
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Lo studio della storia del
cinema offre spesso degli aneddoti che riescono ad aiutarci molto nello studio
critico di una determinata cinematografia. La maggior parte di noi è abituata
ad associare alle origini del cinema russo i nomi di autori grandiosi come
Dziga Vertov o Sergej Ejzenstein ma i grandi maestri del cinema sovietico
iniziarono la loro carriera quando il cinema era comparso già da quasi vent’anni.
Quando iniziai a studiare le
origini del cinema russo pensavo di imbattermi, al pari di altri paesi europei,
a timidi e progressivi approcci all’arte cinematografica che, partendo da basi
documentaristiche (sullo stile dei fratelli Lumière) si avvicinasse
gradualmente a piccole storie di finzione. La sorpresa fu naturalmente grande
nello scoprire che il primo film russo, datato 1907, è il Boris Godunov di Aleksandr Drankov riduzione di uno dei testi più
importanti della letteratura russa, l’omonimo libro di Puškin. Quando i Lumière,
una decina d’anni prima, iniziarono piazzando una macchina da presa fissa su un
binario della stazione in arrivo del treno, ecco che i russi si misuravano da
subito con uno dei testi più importanti della letteratura. Questa notizia, di
per sé curiosa, diventa l’antefatto di aneddoti veramente divertenti sulle
origini di quel cinema e sulle manie di grandezza che animavano i primi
cineasti prerivoluzionari. Pensare di adattare un testo come quello di Puškin
senza avere ancora una buona esperienza tecnica né un’adeguata preparazione al
nuovo linguaggio cinematografico trasformò la realizzazione del film in una
sequenza di eventi degni di una comica. La mancanza di luce artificiale
costringeva la troupe a spostarsi continuamente per seguire la luce del sole e
non si faceva in tempo a terminare di posizionare tutto che si doveva
ricominciare dall’inizio. L’utilizzo dei fondali teatrali per le scene di
interno dovevano poi fare i conti con la naturale mancanza del soffitto e l’incapacità
dell’operatore di manovrare bene la macchina da presa lo costringeva a girare
sempre in campo medio per non fare notare l’assenza del tetto… le manie di
grandezza di Drankov si misuravano anche nella sua volontà di girare ardite
scene di massa senza prima comprendere bene come utilizzare l’ottica della
macchina da presa, ecco quindi esilaranti scene in cui il dramma simulato degli
attori sul lato sinistro della scena cozzava con la figura dello scenografo sul
lato destro che dava istruzioni per i movimenti. Che dire poi della pretesa di
essere i primi a fare dei lunghi piani sequenza quando la durata di un rullo
era minore della durata della scena? Ecco allora che gli attori erano costretti
a rimanere immobili per parecchi minuti per dare modo all’operatore di cambiare
rullo e ricominciare a girare esattamente dal punto in cui aveva dovuto
staccare! A partire da quel primo film il cinema russo nei primi anni è pieno
di incongruenze significative ma anche di colpi di genio assoluti come quello
di una compagnia teatrale che avendo deciso di andare in tournée con un film
invece che con un’opera teatrale, decise di inventare per prima il cinema
sonoro: gli attori si piazzavano al buio dietro lo schermo (non visti dagli
spettatori) e, mentre l’azione andava avanti, loro interpretavano le battute
dei personaggi…
Ma il mio stupore più grande
fu quando scoprì che la produzione russa del primo decennio aveva spesso due
film dallo stesso titolo, uno per il mercato interno russo ed uno per l’esportazione
negli altri paesi europei. La differenza era data dal finale del film. Il
pubblico russo (molto affezionato al melodramma ottocentesco) mal sopportava i
finali a lieto fine che invece il resto del mondo gradiva e rimaneva
affascinato dall’opera soltanto se alla fine i protagonisti incontravano la
morte. Allora i registi si inventavano il doppio finale, mentre nei
film per il mercato estero i protagonisti andavano incontro al lieto fine, per
la produzione interna si andava sempre a morte certa. Questo mi ha fatto
sicuramente comprendere meglio una vecchia amica di famiglia che, tutte le
volte che usciva dal cinema mi faceva capire la bellezza del film dal numero di
lacrime versate. Più il film era bello più doveva essere triste, la malinconica
anima slava influenzava delle volte pure noi.
Quanto divertimento nello
studiare quel cinema dalle origini e quanta comprensione per quel critico che
ebbe a dire una volta a proposito di quella cinematografia “i russi, come al solito, per costruire una
casa partono dal soffitto…”
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