martedì 31 maggio 2011

Bela Tarr – Le armonie di Werckmeister



Probabilmente quando per troppe ore sei costretto a svolgere un’attività che ti toglie ogni energia senza ripagarti in maniera adeguata è normale chiederti, come ho fatto io in questi minuti, quale sia stato il momento in cui l’equilibrio si è spezzato, in cui l’armonia si è persa. E’ stato grazie a questo pensiero che si è improvvisamente srotolata, in un oscuro luogo della mia memoria, la pellicola di Bela Tarr “Le armonie di Werckmeister”. Chi mi conosce sa quanto ami questo film e questo autore ungherese che ritengo uno dei più grandi registi cinematografici di sempre (autore tra l’altro di “Satantango”, sublime opera di oltre sette ore di durata che azzera qualsiasi certezza riguardo alla capacità umana di fruire un’opera d’arte cinematografica per un tempo superiore alle tre ore).
Andreas Werckmeister era un’organista che trecento anni fa sostituendo gli intervalli tonali matematicamente puri con intervalli impuri, ma più piacevoli all'orecchio, ha ricreato la musica (opere come “Il clavicembalo ben temperato” di Bach sono nate grazie a questa rivoluzione teorica). Il film di Bela Tarr è una ricerca sullo stato di purezza ormai perduto da parte dell’uomo: come dice l’anziano Eszter nel film, se si vuole che il mondo torni ad essere in ordine bisogna eliminare il sistema armonico di Werckmeister.
Bela Tarr in questo film, come in tutta la sua opera, non scende a compromessi, le sue scelte estetiche sono sempre rigorose. Il suo bianco e nero (che come lui afferma è più colorato del colore) è tra i più affascinanti visti sullo schermo, i suoi personaggi non si comportano come se leggessero un copione ben scritto ma si muovono come anime dannate alla ricerca di una serenità ormai perduta. Il giovane Lars Rudolph, protagonista del film, sembra essere una delle poche persone ancora capaci di ricercare quella purezza ormai travolta dai nostri tempi barbari. Quando all’inizio del film cerca di ricreare il movimento del sistema solare (cosa di più perfetto?) usando nella parte dei pianeti alcuni vecchi ubriaconi di un bar, la sua voglia di riprendersi l’umanità a partire dagli ultimi, è commovente. Quando inevitabilmente gli ubriachi cominciano a pestarsi i piedi tra loro (in una scena che il mio amico dantes non potrebbe non apprezzare) comprendiamo quanto ardua sia il percorso da compiere per arrivare a quello stato precedente al comodo compromesso di Werckmeister.
Tutto è perfetto in questo film che insegue (invano) la perfezione dell’uomo, il suo stile rigoroso, la sua tecnica avvolgente con piani sequenza che mozzano il fiato per la loro bellezza, la musica di Vig Mihaly che sembra provenire da un’altra dimensione. I suoi personaggi così pieni di paura tanto da diventare brutali (l’assalto all’ospedale da parte della popolazione incapace di capire da dove arrivi il pericolo è così intensa da ricordare certi primi piani di Dreyer). Irrinunciabile per chi ama, o vuole imparare ad amare, il cinema.



Sergio

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