mercoledì 10 agosto 2011

Bronson - Nicolas Winding Refn

Com'è bello scoprire registi nuovi e bravi!
Dopo un'astinenza cinematografica di quasi venti giorni ci voleva proprio un titolo come questo.
Confesso che avendo letto che il regista era di provenienza danese mi aspettavo qualcosa di "dogmatico" alla von Trier.
Nulla di più lontano.
Il regista prende come pretesto la vera vita di un carcerato britannico, tale Michael Peterson, noto con lo pseudonimo di Charles Bronson, per porre quesiti interessanti sulle capacità di espressione e di autoaffermazione dell'uomo.
Una tecnica di regia, che come ho già detto, si distacca notevolmente dai connazionali del Dogma e crea un linguaggio abbastanza originale e proprio.
Alternando momenti di estrema violenza a scene di un umorismo ai limiti del grottesco, Refn riesce a farci immedesimare in un ruolo che si allontana notevolmente da quella che può essere la "normalità" dell'essere umano: un criminale violento e psicopatico, che vede nella violenza la sua massima capacità di espressione. Ama la galera perchè solo lì riesce a essere famoso, ambizione che rappresenta il suo massimo volere.  Anche solo su questo punto potrebbe partire una discussione senza fine sulla società odierna, pervasa da persone che vedono nella fama un fine e non un effetto collaterale; fenomeno che produce una quantità spropositata di Costantini e Belen che ammorbano ogni media con degli immensi NIENTE. Ma meglio non protrarre troppo quest'argomento, potrei avere scatti che mi porterebbero a  diventare il futuro soggetto per un film di Refn.
Tornando invece al Bronson interpretato da uno straodrinario Tom Hardy, il suo personaggio è curato fino al minimo dettaglio. Il protagonista ci mostra i propri pensieri presentandoli sotto forma di spettacolo teatrale carcerario di cui lui è l'attore protagonista. Indossando gli abiti di un Pierrot adattato al mondo criminale, il nostro Bronson accompagna virgiliamente tutto il film. Come se egli stesso raccontasse la propria storia ad un pubblico immaginario nella sua testa. Dettaglio che dà un tocco di onirico delirio alla narrazione, molto adatto al tema.

Una bella riflessione sulla solitudine, sull'ambizione e sulla voglia di esprimere se stessi, che non ha la presunzione di dare una risposta ma fornisce solo spunti di riflessione.
Assolutamente un pollice in su!
Robin

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