giovedì 23 febbraio 2012

La Talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy) - Tomas Alfredson



Ma sei un buon osservatore, eh? Noi solitari lo siamo sempre.”


All’apparenza “La Talpa” potrebbe sembrare una semplice spy story, scritta, diretta e interpretata magistralmente, ma la grandezza di questa pellicola risiede proprio nel non detto; al di là della rappresentazione pulita, ordinata e lineare,  questo film è una pentola in continua ebollizione e racconta attraverso sguardi, silenzi e taciti gesti il vissuto interiore dei protagonisti.


In piena guerra fredda l’ex agente in pensione George Smiley(uno straordinario Gary Oldman) viene incaricato di stanare una spia sovietica infiltratasi a capo dei servizi segreti britannici, potente organizzazione di cui lo stesso Smiley faceva parte prima di essere sollevato dall’incarico; ha inizio così una lunga e sconvolgente indagine capace di scardinare qualunque equilibrio. In questa continua ed estenuante corsa per la salvaguardia individuale, sono soprattutto gli equilibri interni ad essere minati e scossi e ad Alfredson poco importa degli avvenimenti storici e politici di quegli anni, perché la sua attenzione si focalizza sulla complessità dei rapporti umani. Ciò che interessa al regista svedese è l’uomo e non l’agente, le contraddizioni e gli sbandamenti di un individuo al quale viene sempre richiesto di non fallire, di rimanere attento e vigile e di subordinare le emozioni e i sentimenti al dovere. E in questo senso il trio Oldman-Strong-Firth è estremamente emblematico: il dualismo interiore logora giorno dopo giorno e corrode chi ne è colpito.
Quella che abbiamo davanti agli occhi è innanzitutto una storia di amore e amicizia, di lealtà e tradimento, che non fa né vincitori né vinti; la spy story mostra quindi le dinamiche di rapporti umani corrosi e indeboliti dal potere e dai potenti, in cui l’elemento umano cede il passo all’utile personale.
Bisogna essere dei silenziosi osservatori, come l’ex agente Jim Prideaux, per comprendere che la profondità di questo film sta oltre le parole e le indagini e si annida nei silenzi, negli sguardi e nel non detto. Non a caso Alfredson veste i panni dello scrutatore silenzioso senza mai essere patetico e sentimentale e ci trascina in un vortice di autodistruzione che lascia senza fiato. La ferocia con cui ogni rapporto umano viene demolito e smantellato lede interiormente e con lentezza chi ne osserva le dinamiche, portando ogni uomo a fare i conti con i propri scheletri e i propri mostri più nascosti. Ciò che ne deriva è un senso di sradicamento e fragilità lancinante che ci obbliga a far i conti con noi stessi.
Alfredson, una bellissima sorpresa all’interno del panorama cinematografico contemporaneo, dimostra di avere una spiccata capacità nel raccontare la fragilità e l’instabilità dei rapporti umani, mostrando l’individuo nella sua nudità.
Quelle complessità e quelle contraddizioni interne che le parole non possono spiegare, il regista svedese le espone sullo schermo sottoforma di altro. E scusate se è poco.


C’è da dire che tutto questo non sarebbe stato possibile senza un cast di altissimo livello. Spicca su tutti la figura di Gary Oldman, il quale dimostra(per l’ennesima volta) si essere un attore straordinario e di possedere un’abilità e una sensibilità uniche. Lo so, lo so…quando si parla di Oldman sono sempre poco obiettiva, ma sfido chiunque a dire il contrario.
Insomma, l’attore britannico continua a non perdere colpi(almeno lui!) e invecchia proprio bene.   

Trailer

Valeria

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