Guardare un’opera prima ti mette addosso una curiosità particolare. Speri sempre di scoprire un autore finalmente originale che abbia delle ottime storie da raccontare. Spesso rimani deluso dalla presunzione di registi che, solo perché riescono a far fare dei giri particolari alla macchina da presa rimanendo in equilibrio su una sola gamba, credono di far parte tra i grandi del cinema.
Per fortuna non è stato il caso di questo piccolo gioiello cinematografico della giovane regista francese Aurélia Georges “L’uomo che cammina” (L’homme qui marche). Da subito capisci che la pellicola ha una sua originalità, una messa in scena minimalista che non tende all’accumulo ma mostra solo il necessario con atmosfere che fanno ricordare i soggetti di Kaurismaki; dei personaggi che ti mettono addosso un’istintiva curiosità nel voler comprendere da dove provengano, come il protagonista di questo film che sembra uscire direttamente da una delle opere migliori di Giacometti (L'uomo che cammina appunto...). La storia del film narra di un evento reale, la storia di un esule russo a Parigi, Vladimir Slepian, scrittore per istinto ma che riuscì a fare pubblicare solo un suo testo negli anni Settanta (e dalla breve lettura che se ne fa nel film sembra anche molto interessante…) per poi scomparire in un lento oblio che lo portò letteralmente a morire di fame, nel 1998, proprio in mezzo a uno dei quartieri più famosi di Parigi: Saint Germain des Prés.
La macchina da presa della regista francese non si stacca praticamente mai dalla figura del protagonista (un bravissimo César Sarachu), ma lo fa con una discrezione rara, quasi pudore rispettoso per un uomo singolare che sembra provenire da un altro pianeta. Fino alla fine speri di potere entrare dentro il mondo di questa figura così singolare ma chissà se in fondo quest’uomo non provenga proprio dalla luna e il suo passaggio sulla terra sia stata soltanto un incidente. Attorno a lui la Parigi dagli anni Settanta agli anni Novanta, tra caffè letterari (Les deux magots su tutti), lezioni di Lacan e intellettuali del quartiere latino; in mezzo a loro passa Sleipan (nella pellicola con il nome di Viktor Atemian) come un lord inglese in mezzo a una curva di ultrà, impossibile non accorgersene ma alla fine non gli si da troppa retta…
Rimane la lettura di un brano di Fils de chien pubblicato in una rivista letteraria nel 1974 (accanto a testi di Beckett e Robbe-Grillet) che lascia intuire come dietro quest’uomo così particolare si nascondesse probabilmente qualcuno che aveva ancora tanto da dire ma che un mondo troppo abituato ad urlare non poteva perdere tempo ad ascoltare.
SergioTrailer
Su Vladimir Slepian
Nessun commento:
Posta un commento