giovedì 19 aprile 2012

Cronenberg terza puntata... LA ZONA MORTA


Oggi voglio scrivere di quel che si dice “il peggior Cronenberg”, ovvero la trasposizione cinematografica del fortunato libro di Stephen King “La zona morta”. Credo che il nome di King giochi parecchio a favore di questo giudizio, eppure qualcosa di interessante deve pur esserci in lui se le pagine dei suoi libri sono fra le più sfruttate in campo cinematografico… certo, per la maggior parte delle volte si è trattato di film per battere cassa… però io oggi lo voglio “difendere” da chi lo etichetta solo come scrittore di best seller. Credo però anche che non ci sia occasione migliore di questa per vedere la differenza tra un bravo scrittore che padroneggia il suo strumento e un genio visionario…
Ancora una volta Cronenberg indaga sulla possibilità dell’uomo di andare oltre i limiti fisici del suo corpo e assumere dei poteri mass-mediali che gli permettono spesso di sintetizzare le categorie spazio – temporali. Della narrazione il regista ne fa un contorno al centro del quale emergono ancora una volta le ossessioni centrali della sua poetica. Quello che in King era infatti un innato potere di predire il futuro, in Cronenberg diventa capacità illimitata di Johnny di estendere i suoi organi di senso, attraverso una dimensione spazio temporale elastica, che lo fa saltare di continuo attraverso vari livelli di realtà, passati, presenti e futuri. Inoltre, se appunto questa facoltà si delineava attraverso la penna di King come innata e solo acuita dal lungo stato di coma, per Cronenberg l’incidente stradale (altro topos ricorrente nella sua ricerca) ne è la causa scatenante.
Ancora una volta lo “scontro” con la tecnologia è causa di un’alterazione che conduce il protagonista verso la superumanità. Ma se in Scanners il mad doctor era una persona fisicamente identificabile, ne La zona morta è un perenne fuoricampo, forse si tratta del caso, o forse di un dio di cui Johnny è uno degli esperimenti malriusciti.
Ad accomunare i due film è l’estrema solitudine dei protagonisti, che non trovano posto nella società a causa della loro diversità. Pur avendo sembianze normali infatti, sanno di non esserlo, e questo è per loro causa di una ontologica tristezza che non trova soluzione se non forse nel sacrificio finale.
Johnny, da individuo assolutamente ordinario, si ritrova letteralmente catapultato in una diversità che non sa gestire. Perde il lavoro, la donna che ama e ogni cosa che per lui avesse un senso nella “vita passata”; la società lo coinvolge solo per sfruttare le sue doti di chiaroveggenza, ma per il resto lo guarda come un mostro. Quello che sembrerebbe un dono risulta invece essere un handicap; Johnny non ne ha il controllo, non lo usa a sua discrezione ma ne è aggredito (come gli scanners, perseguitati dalle voci mentali) e quindi vittima. La sua mano si è trasformata in un organo di percezione sovrumano, gli permette di avere una visone panottica del tempo; inoltre la “zona morta” che era per King una percentuale di imprecisione trascurabile, è per Cronenberg nelle visioni di Johnny una sfumatura, una percentuale di indeterminatezza che permette a Johnny di intervenire sul corso degli eventi, creando futuri alternativi. Ma questa illimitata capacità di conoscere e “vedere oltre” è controbilanciata da un inesorabile consumo delle sue energie vitali che lo conduce quindi inevitabilmente alla morte.
Si ripresenta quindi un raccordo mancato, forse tra un inizio di mutazione e la mancanza di tutti i presupposti necessari.
Che dire infine di Christopher Walken? Superlativo.
Alla prossima Cronenberg-puntata…

Gabri
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