Risulta francamente
impossibile avvicinarsi a una nuova pellicola di Woody Allen senza essere
influenzato dalla sua incredibile carriera passata. Decine di capolavori fino
ai primi anni Novanta e poi una deriva preoccupante che lo ha portato, soprattutto
nell’ultimo decennio, a titoli francamente superflui (con la felice eccezione
di Midnight in Paris).
Gli amanti
di Woody Allen, anche senza conoscersi tra loro, sono molto simili agli adepti
delle logge segrete della massoneria, si scambiano messaggi in codice sotto
forma di vecchie battute dei suoi film e dalla reazione che suscitano capiscono
chi fa parte del proprio gruppo. Proprio per il triste declino che il nostro
regista ha conosciuto negli ultimi anni, diventano sempre più sfuggenti ed
ermetici. Alla domanda se si è visto il suo ultimo film, spesso ti dicono che
non ne hanno avuto ancora il tempo (per evitare di dire qualcosa di spiacevole)
però, proprio il giorno prima, casualmente,
hanno recuperato il dvd di Io e Annie
o Manhattan e via con gli elogi…
Con questo,
ormai classico metodo di avvicinamento, mi sono accostato al suo ultimo film, Blue Jasmine, pellicola
numero quarantaquattro nella carriera alleniana. Il volto della bravissima Cate
Blanchett che risalta sul manifesto del
film sembra promettere bene. Paragonata alla bellezza da bambola di Scarlett
Johansson la differenza è enorme. Per nostra fortuna.
L’ambientazione
non newyorchese della pellicola, girata in gran parte a San Francisco, sembra
ribadire la costante del Woody degli ultimi anni abituato a vagare per le città,
soprattutto europee, alla ricerca di quell’ispirazione che solo la grande mela e delle volte Parigi gli
hanno dato in passato. Ma in questo film New York è più che presente, perché da
lì proviene la nostra protagonista che si porta dietro un matrimonio finito e
una vita andata a rotoli dopo l’arresto e il suicidio del marito truffatore.
Jasmine/Blanchett arriva nella città californiana per ricominciare da zero,
ospite della sorella, diversissima da lei e unica persona che può aiutarla a
ricostruire la sua vita.
Quando in un
film di Allen ti accorgi che dopo la prima mezz’ora di visione non hai ancora
fatto un sorriso, le peggiori paure si impossessano in noi adepti alleniani.
Pensi di ripiombare in quegli incubi fintamente “alti” di Match Point. Riproposizione delle solite tematiche di aristocratici
in crisi con relativo bagaglio psicoanalitico da decifrare. Ma mentre inizi a
pensare alle scuse da dire sull’ultimo film di Woody che non hai ancora visto
ecco che la storia prende quota come un vecchio motore che sbuffa all’inizio e
poi fila via in maniera impeccabile. Blue
Jasmine non ha nulla delle commedie tipiche di Allen ma è distante anni
luce anche dalle ambiziose e deludenti opere che il regista americano ci ha
purtroppo regalato nell’ultimo decennio. La sontuosità dell’interpretazione di
Cate Blanchett è sicuramente decisiva nel rendere credibile la pellicola e
farci provare una grossa empatia per il personaggio di Jasmine incapace di
rifarsi un’esistenza libera dalle macerie del suo passato. Ma anche la
scrittura e la regia di Allen sono importanti perché in questo film (finalmente
è il caso di dire) il nostro Woody si ricorda di assecondare i suoi personaggi
piuttosto che le proprie ossessioni. Intendiamoci, Jasmine è in pieno un
personaggio alleniano, per come si muove, per come parla, per il mondo da cui
proviene ma non si ha mai la sensazione che ciò che vedi sia la stanca
ripetizione di ciò che hai visto (meglio) qualche decina di film fa. Il suo
tentativo disperato di riprendersi la propria vita in una città che non conosce
e in mezzo a persone mai viste appare credibile e assolutamente in linea con la
caratterizzazione del personaggio. Certo non possiamo fare paragoni con titoli
come Un’altra donna (anno di grazia
1988) ma la boccata d’aria che il vecchio Woody ci regala è notevole. Alla fine
posso dirlo, quando esce un nuovo Allen state certi che noi fanatici il film lo
vediamo subito.
Sergio
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