Non sono moltissimi i film che possano vantare delle
scene entrate nell’immaginario collettivo anche per i non appassionati di
cinema. Spesso queste scene sono più legate all’immagine della star ripresa che
al valore artistico dell’opera. Quando però i due casi si incontrano ecco che
rivedersi, di tanto in tanto, un vecchio film diventa un godimento sia per gli
occhi che per il cervello.
L’angelo
azzurro, capolavoro tedesco del 1930, è uno di quei film che non
mi stanco mai di rivedere. I motivi che di volta in volta mi possono spingere a
rimettere la pellicola sono sempre diversi, inutile negare che il fascino di
Marlene Dietrich non sia quasi sempre l’impulso principale. Quando con la sua
splendida voce inizia a cantare Ich
bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt (o Falling in love again nella
versione in lingua inglese) tocchi con mano il miracolo con cui il grande
cinema riesce a strapparti da qualsiasi pensiero per accompagnarti in una
dimensione perfetta. Allo stesso modo la voce di Lola Lola si eleva da quel
malfamato locale di una Berlino che sta per piombare nei suoi anni più bui per
arrivare a toccare le corde del cuore del professor Rath, serioso insegnante
del prestigioso ginnasio cittadino. L’interpretazione che Emil Jannings (in
assoluto uno dei più grandi attori della storia del cinema) da di questo
personaggio è assolutamente grandiosa. Jannings riesce a mettersi sulle spalle
l’intera metamorfosi di un mondo che sta rapidamente disintegrandosi. Il
decadimento della vecchia borghesia sta per lasciare spazio alla frenesia folle
del nazismo e il professor Rath rovinato dall’amore per l’affascinante Lola
Lola riesce a spiegarci come un libro di storia quello che stava per avvenire
in Europa in quegli anni.
E’
probabilmente uno degli ultimi grandi momenti del cinema tedesco prima della
diaspora iniziata con l’avvento del terzo Reich (ci sarà ancora quel immenso
capolavoro di M di Fritz Lang). Una delle cinematografie più importanti e
più innovative del mondo stava per scomparire per non mischiarsi a uno dei
governi più malati che l’uomo ricordi. Gli artisti che con l’espressionismo ci
avevano donato (non solo nel cinema ma anche nel teatro, nella letteratura,
nella musica e nella pittura) quasi una riproposizione di quello che fu il
Rinascimento in Italia, stavano per preparare le valigie in tutta furia. Così
fece sia il regista Von Sternberg che la divina Marlene trasferitasi ad
Hollywood per diventare uno dei miti del cinema mondiale. Ma tutto partiva da
quella canzone cantata al Der Blaue Angel vero canto d’addio della
Repubblica di Weimar e di un intero sistema di valori.
A
quella voce e a quel corpo, pochi potevano resistere. Hitler provò
disperatamente a convincere la Dietrich a rientrare in patria per diventare la
regina del nuovo cinema tedesco (che ovviamente non nacque mai), ma lei si
rifiutò sempre energicamente; amava dire a proposito delle insistenze del
dittatore tedesco “quel poveretto non si è più ripreso dalla scena della
giarrettiera…”. La Dietrich oltre ad essere una star divenne una delle più
famose oppositrici del regime nazista e i suoi viaggi, durante il conflitto,
all’interno delle prime linee alleate furono leggendarie. Molti reduci
raccontarono che grazie alle sue canzoni riuscivano a trovare nuovo entusiasmo e
voglia di vivere da spendere nei giorni decisivi della battaglia. Erano altri
tempi, più feroci certo ma anche più carichi di sogni rispetto ad oggi e allora
il cinema riusciva davvero a entrare nella vita, e a cambiarla.
Sergio