L'atmosfera della Mostra del Cinema di
Venezia è di una bellezza indescrivibile. Una piccola isola come il
Lido gremita di gente fino a mezzanotte inoltrata, tutti per guardare
film dalla mattina alla sera. I più fortunati, quelli che riescono a
ottenere un pass da giornalista, passano le loro giornate dentro le varie sale, guardando dai tre ai nove film al giorno. Io, coi miei pochi
spiccioli, punto sul film che mi sembra più interessante e ho la
segreta speranza di assistere a un capolavoro memorabile, così da
poter dire in futuro “eh, io c'ero!”. Peccato che non sia stato
questo il caso di Pasolini di Abel Ferrara.
Quando ho letto che Ferrara presentava
un film su Pasolini ho pensato a film come King of New York,
Fratelli, o Il cattivo tenente (quello vero, con Harvey Keitel) e ho
creduto che poteva venirne fuori un film davvero superbo. Tuttavia,
malgrado l'innegabile talento di Willem Dafoe, che nelle movenze e
negli sguardi è di una bravura disarmante, il film risulta
convincere poco, restituisce poco o niente del genio del vero
Pasolini.
Impedimento più grosso di tutti è
stato quello linguistico. Probabilmente è un mio limite non riuscire
ad accettare un Pasolini che parla un inglese americanaccio,
probabilmente deficito io di fantasia per non poter accettare la
cerchia di amici e familiari che parla in italiano fra di loro e in
un inglese da Supermario quando si rivolge al Willem-Pierpaolo, ma a
neanche venti minuti dall'inizio avevo già mal di testa. Scusate, ma
non riesco proprio a trovare la credibilità di un Pasolini che
accoglie l'amica Laura Betti dicendole “how you doin'?”.
Ho voluto sperare il più possibile, ma
quando ho visto Scamarcio interpretare il Ninetto Davoli di una
volta, ho capito che proprio non c'era niente da fare.
Ferrara si è voluto concentrare nelle
ultimissime giornate della vita del poeta bolognese, riprendendo il
suo tragico omicidio lasciando poco spazio all'immaginazione. Le
immagini forti e “scandalose” dominano il film dall'inizio alla
fine, sicuramente un omaggio al coraggio con cui Pasolini girò scene
che scandalizzarono ogni strato della società, dentro e fuori il
paese. A differenza del grande maestro però, l'allievo Ferrara si
dimostra poco capace di creare quella necessità narrativa che sta
dietro alle immagini forti, senza la quale sono solo immagini fini a
sé stesse. “Forti” solo per modo di dire, solo a livello visivo.
Peccato, perchè Pasolini era uno di
quei registi che sapeva sconquassare, che non girava un'orgia solo
perchè è una scena che richiama l'attenzione. Il suo era un cinema
di denuncia, un cinema politico, necessario. Pochi come lui hanno
saputo cogliere, con la sua stessa razionalità, gli aspetti della
società in cui viveva e denunciarli con violenza in libri, poesie e
film.
Rendere omaggio a una figura tanto
spessa è un'idea tanto giusta quanto ardua, e, ahimé, non mi sento
affatto di dire che Ferrara sia stato all'altezza di reggere il peso
del compito.
Peccato davvero.
Robin
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