Quando nel 1990 Jean Luc Godard
lo scelse come protagonista per un suo film sembra che giustificò questa sua
scelta dichiarando “avevo bisogno di uno che non sapesse recitare…”. Certamente
solo a uno come Godard, e a pochissimi altri, si poteva permettere di lasciare impunita una
simile affermazione così netta nei confronti di una vera e propria icona del cinema
francese. Eppure andando a spulciare tra i giudizi dei critici che nel corso
degli anni lo hanno messo al centro delle loro analisi non è raro imbattersi in
giudizi non troppo lusinghieri nei suoi riguardi. Sicuramente il fatto di avere
interpretato tantissimi film e non tutti di alta qualità (destino comune per
tanti grandi attori), ha contribuito a rendere meno evidente la sua bravura.
Possedere poi una faccia come la sua, che ha fatto perdere la testa a
generazioni di donne, non aiuta chi mal concilia la bellezza fisica con la bravura (e anche
Marilyn ne sapeva qualcosa).
La verità, come spesso accade,
sta nel mezzo. Delon è stato, ed è, un grandissimo interprete cinematografico
ma solo se modellato dalle mani di un autore sensibile che sapesse tirare fuori
dalla sua figura il meglio. Pochi ci sono riusciti ma ogni volta che questo
accadeva si compieva il miracolo. Da giovane ragazzo appassionato di cinema, ma
ancora acerbo nel gusto, vidi diversi film con Alain Delon, erano soprattutto
quelli più commerciali come Zorro o Airport ’80 che mi davano l’impressione
del solito divo lontano e finto, possibile nella sua esistenza soltanto se
impresso nella pellicola cinematografica. Non vedevo l’uomo dietro
l’interprete. Questo successe per diverso tempo. Poi la mia evoluzione di
spettatore mi fece scoprire capolavori come Rocco
e i suoi fratelli di Visconti o Mr.
Klein di Losey. Ecco che dietro quella maschera di bellezza dell’attore
Delon cominciavo a vedere qualcosa di più. Quegli occhi blu ma glaciali dove
rischiavi di venire travolto da un’incontrollata cascata di emozioni. Quella
malinconia di fondo che ne faceva un interprete da non usare in ruoli brillanti
o da commedia senza perderne irrimediabilmente qualcosa di importante. Poi, in
un pomeriggio d’estate abbastanza anonimo di una ventina d’anni fa, arriva il
miracolo a cui mi riferivo. Guardo La prima notte di
quiete di Valerio Zurlini, grandissimo autore italiano purtroppo non
considerato come meriterebbe. Delon interpreta un professore di liceo di Rimini
(una città lontana anni luce dall’immaginario felliniano); vestito con un
maglione verde e un cappotto
color cammello: il cinema compie la magia di rendere eterno un
personaggio. Ancora oggi ogni volta che penso a Delon lo immagino vestito con
quel cappotto, quello sguardo malinconico di chi alla vita non ha più molto da
chiedere ma, nonostante questo, non rinuncia a essere vivo. Con disillusione
certo, con la consapevolezza che per quanti sforzi riesci a fare la gioia ti
scivolerà sempre tra le dita come la pioggia del cielo. Fu grazie a quel film
che mi legai all’attore Delon in maniera fortissima. Cominciai a vedere tutti i
suoi lavori, anche i meno riusciti per ritrovare, fosse anche per un attimo,
quella strana luce dei suoi occhi, quella malinconia di chi ha tutto vissuto e
guarda il mondo con una consapevolezza fuori dall’ordinario. Naturalmente anche
l’uomo Delon cominciava a interessarmi, quello sguardo era solo frutto della
sua capacità interpretativa o era un suo segno distintivo personale? Alla fine
degli anni Cinquanta, tra le tante storie d’amore fra divi del grande schermo, quella
tra Alain Delon e Romy
Schneider fu tra le più celebri. La grandissima attrice venuta alla
ribalta interpretando la principessa Sissi ma confermatasi in futuro come una
delle più importanti interpreti del Novecento (personalmente la ritengo allo
stesso livello della Bergman e della Magnani) e musa dei più importanti registi
francesi degli anni Sessanta e Settanta. La storia tra Delon e la Schneider
durò circa cinque anni ma i due rimasero amici per tutta la vita. Una volta la
Schneider dichiarò che una storia d’amore rimane unica quando ci si continua a
chiamare, a lanciarsi dei richiami per non perdersi mai. Subentrano altre
storie, altri tradimenti, figli, felicità con altri ma una sola rimane la
storia d’amore della vita. Continuò dicendo che Delon rimaneva l’unica persona
sulla quale poteva contare, l’unico che sarebbe accorso al suo primo richiamo
aggiungendo che però lui non le aveva mai scritto nemmeno una lettera ma solo
biglietti. Il destino fu molto duro con la Schneider, la vita le tolse un
figlio ancora adolescente e da quella perdita lei non riuscì mai più a riprendersi
tanto che anche lei morì dopo meno di un anno. La vita prende tante altre
strade e sia la Schneider che Delon avevano costruito altre esistenze ma la
notizia della morte del suo antico amore fu devastante. Quella sera sul letto
di morte della Schneider, Delon trascorse parecchie ore, volle restare solo con
lei, le scattò delle foto che porta sempre con sé e non andò al suo funerale;
il giorno seguente alla sua sepoltura rimase sulla sua tomba per molte ore.
Quella notte, mentre l’accudiva sul letto di morte, le scrisse la sua unica lettera d’amore
che ancora oggi riesce a commuovermi. Questi sono alcuni passi:
“Ti guardo dormire.
Sono accanto a te, sei vestita di una lunga tunica nera e rossa, ricamata sul
petto. Sono fiori, credo, ma non li guardo. Ti dico addio, il più lungo degli
addii, mia Puppelé . È così che ti chiamavo, "Piccola bambola" in
tedesco. Non guardo i fiori ma il tuo viso e penso che sei bella, e che forse
non lo sei mai stata così tanto. Per la prima volta nella mia vita - e nella
tua - ti vedo serena, in pace. Come sei calma, come sei bella. Sembra che una
mano abbia dolcemente cancellato dal tuo viso tutte le angosce”
“Ti guardo dormire ,
dicono che sei morta. Penso a te, a me, a noi. Di che cosa sono colpevole? Ci
si pone una domanda simile davanti una donna che si è amata e che si ama
ancora”
“Ti guardo dormire .
Ieri ancora eri viva. Era notte. Appena rientrati a casa hai detto a Laurent
"va a dormire, vengo tra poco. Resto un po' con David ascoltando
musica". Facevi così ogni sera... Volevi restare sola con il ricordo di
tuo figlio morto, prima di andare a dormire”
“Non verrò in chiesa
né al cimitero , ti chiedo perdono perché sai che non riuscirò a proteggerti
dalla folla, da questo tormento così avido di "spettacolo" che ti
faceva tremare. Verrò a trovarti il giorno dopo, e noi saremo soli. Mia
Puppelé, ti guardo ancora e ancora. Voglio divorarti di sguardi. Riposati. Sono
qui, vicino. Ho imparato un po' di tedesco, grazie a te. Ich liebe dich . Ti
amo. Ti amo, mia Puppelé”.
Buon ottantesimo compleanno.