sabato 8 ottobre 2011

Dov'è la casa del mio amico? - Abbas Kiarostami



Quello che cercherò di fare è di dare un colore e un sapore diverso a questo commento rispetto alle mie precedenti recensioni; cercherò di scrivere utilizzando più la pancia e meno la testa (cosa che mi viene spesso rimproverata e che puntualmente io rimprovero a me stessa), perché, in fin dei conti, il cinema è fatto di emozioni e le emozioni vanno necessariamente vissute e, se si ha il piacere, anche condivise con gli altri utilizzando tutti i mezzi che abbiamo a disposizione.
Kiarostami è l’esempio emblematico di come il cuore e la passione possano prendere il sopravvento sulla tecnica raggiungendo risultati strabilianti, confezionando capolavori di una poesia unica nel suo genere; lavora col cuore ed è lì che intende arrivare. E con me ci è riuscito benissimo.
Il mio incontro col maestro iraniano è piuttosto recente, lo conoscevo già per via della sua fama, del suo percorso cinematografico e dell’enorme importanza che ha rivestito il suo cinema nel panorama mondiale, ma concretamente la sua cinematografia mi è stata sempre sconosciuta.
Il nostro incontro è avvenuto proprio con questo film ed è stato un vero e proprio colpo di fulmine, uno di quei momenti in cui capisci che la persona che hai davanti cambierà la tua vita o avrà, comunque, un ruolo importante nel tuo percorso esistenziale. Ed è così che ho conosciuto la sua poesia, la sua capacità di emozionare con la semplicità e la sua abilità narrativa.
Raccontare storie ed emozionare è forse uno dei lavori più duri e complicati che esistano al mondo, il tranello della banalità, della presunzione e dell’ostentazione è sempre in agguato, tutti ostacoli che però  Kiarostami è riuscito a superare in maniera eccellente.

Il regista iraniano ci racconta una forma di solidarietà così pura e disinteressata che forse solo un bambino è in grado di coltivare e praticare giorno per giorno.
Solo un bambino può essere capace di sfidare qualunque intemperie per restituire un quaderno al proprio compagno di classe, un gesto che proprio per la sua semplicità e bellezza e per la perseveranza con cui è eseguito rapisce il cuore, spiazza e lascia senza parole.
E’ proprio nel momento il cui questa corsa incessante sembra destinata alla rassegnazione, proprio nel momento in cui crediamo che qualunque gesto e sacrificio non sia servito a nulla, è proprio in quell’istante che Kiarostami regala tutta la sua poesia, in un finale che colpisce l’anima e lascia libero sfogo alle emozioni.
Lo sguardo di Ahmad, così come la disperazione di Nemattzadeh dietro il suo banchetto sono  difficili da dimenticare. Viene quasi voglia di alzarsi dalla sedia e correre e patire insieme a loro, solo per rivedere il sorriso splendere sui loro volti.
Così che il piccolo Ahmad diventa il paladino di una solidarietà capace di riempire il vuoto lasciato dalla mancanza di comunicazione da una società eretta su dogmi polverosi ed obsoleti impossibili da sradicare.
Su questo sfondo di desolazione, solitudine ed incomunicabilità i volti di questi bambini rappresentano la speranza e il desiderio di uccidere il vecchio a favore di un nuovo fatto di libertà e condivisione. E la forza emotiva di questo sta proprio nei bambini e nei loro gesti.

Condividere e sacrificarci per gli altri. Forse è questo che Kiarostami vuole dirci, alla stesso modo in cui lui stesso ha voluto condividere con noi questo capolavoro, soffrire e gioire con noi insieme ai suoi bambini.
Quello che poi, in fin dei conti, accade in questo in questo blog e quello che spero di essere riuscita a fare anche io.

Vi lascio con la parte iniziale del film

Valeria

1 commento:

  1. Brava Vale, sono assolutamente d'accordo con ciò che hai scritto a proposito di uno dei film più poetici degli ultimi decenni. Akira Kurosawa stravedeva per questo film e per il modo in cui Kiarostami riusciva a filmare i bambini, e sono sicuro che anche Francois Truffaut, se fosse vissuto abbastanza per vederlo, sarebbe rimasto colpito da questo capolavoro. Lo vidi per la prima volta a vent'anni e ricordo ancora bene come riuscì ad aprirmi un mondo fino ad allora sconosciuto.

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