lunedì 24 ottobre 2011

Serena Vitale - A Mosca, A Mosca!


Monotematico io? Può darsi..

Da coloro che non nutrono quest'amore ai confini dell'ossessione, mi sono sentito spesso incompreso, ho perfino pensato di avere qualcosa che non andasse, poichè non sono mai riuscito a spiegare con parole il perchè di quest'attrazione così forte. Il libro di una delle slaviste più importanti d'Italia, famosa anche a livello internazionale, è una delle prove che non sono il solo ad essere affetto da questa “malattia” per questo paese così ricco di personalità, così unico e speciale: la Russia.

Serena Vitale, allieva diretta del grande Angelo Maria Ripellino (da cui sicuramente è stata influenzata non poco), andò per la prima volta a Mosca nel 1967, in piena epoca brezhneviana. Inimmaginabili sono le difficoltà di una studentessa poco più che ventenne, catapultata in un mondo ostile che la vede come nemica, in quanto borghese dell'occidente capitalista. Non rare furono le porte in faccia, specie all'inizio. La gente aveva quasi paura a parlarle per non compromettersi.
Ma nonostante queste sofferenze, queste iniziali difficoltà, la Vitale non s'è mai data per vinta, e con coraggiosa testardaggine è sempre andata avanti, inghiottendo tutti i soprusi, accollandosi di essere spiata e seguita dagli agenti del KGB da mattina a sera, mettendosi a contrabbandare prodotti dall'occidente.. tutto per rimanere a Mosca e coltivare il suo amore per questo strano paese e per la sua anima, così profonda, attraente e misteriosa.
Nelle sue parole ritrovo il mio stesso sentimento descritto con una consapevolezza, ovviamente, smisuratamente maggiore. Raccoglie esperienze vissute in quarant'anni e le prende come spunto per parlare dell'essenza dell'Unione Sovietica, e, adesso, della Russia; dei suoi difetti, dei suoi pregi, delle sue contraddizioni e dei suoi profondissimi cambiamenti avvenuti nel corso di questi anni.
L'amore per la letteratura e per l'arte russa l'hanno portata a rischiare grosso, trasportando illegalmente e in più di un'occasione microfilm, libri e quant'altro di autori censurati e vietati dal regime.
Già dal titolo, di chiara maternità cechoviana, si può facilmente intendere quali siano i toni con cui si parla di questa città.
Sebbene la maggior parte degli aneddoti raccontano esperienze agghiaccianti, dalle quali ogni persona scapperebbe a gambe levate se ne avesse a priori la consapevolezza, il libro trasuda ammirazione verso la capitale russa e la passata Unione Sovietica.
Mentre si legge, non si può non sognare di andarci, o ritornarci (dico tutto ciò perfettamente consapevole di quanto mi sia impossibile dare un giudizio imparziale).
Il tono nostalgico che si avverte nelle parole della Vitale non risiede certo per l'epoca Brezhneviana, ma è più una nostalgia per la propria gioventù, un'epoca ormai passata in cui ancora aveva tutto da scoprire. Ora sembra quasi delusa da come le cose siano cambiate, come i radicali cambiamenti degli ultimi vent'anni abbiano spazzato via un intero paese, rimasto solo nella memoria di chi vi ha vissuto.
“E' una questione fisiologica, non ideologica. Uno invecchia, la vita si aggrappa alla memoria. Quella Russia è stata comunque la nostra giovinezza, non puoi farci nulla.” le dice una vecchia amica nel 2007 dopo aver provato, senza successo, ad entrare nell'atrio dell'MGU, loro vecchia università, luogo denso di ricordi.
Non è la prima volta che un'opera, letteraria o cinematografica che sia, riesce a chiarirmi le idee su ciò che provo; è una sensazione tanto strana quanto piacevole, che regala un forte senso di gratitudine verso quell'autore/autrice che ha avuto la capacità di spiegare le mie emozioni molto meglio di quanto avessi potuto fare io stesso.

Robin

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