Il caso ha voluto che, mentre mi accingevo a mettere giù qualche riga sull’ultimo film di Laurent Cantet (Entre les murs), la tv mandasse in onda quell’inarrivabile capolavoro di Truffaut; a quel punto non restava che mollare tutto, piazzarsi davanti allo schermo e ritornare bambina per dormire in una tipografia, falsificare giustificazioni e assistere ad uno spettacolo di marionette insieme ad Antoine. Il caso ha voluto, inoltre, che i due film avessero interessanti punti di contatto, ma, mentre il film di Cantet si focalizza sul ruolo delle istituzioni scolastiche contemporanee e sul loro complicato rapporto con studenti problematici, il film di Truffaut è uno spiazzante viaggio di crescita e ribellione; e qui crescere vuol dire sporcarsi le mani in prima persona, sbandare, commettere errori, rompere gli schemi imposti delle istituzioni, scolastiche e familiari in primo luogo. A un’infanzia mutilata o, addirittura, negata corrisponde l’incessante bisogno di “farsi da soli” per dimostrare di valere qualcosa; per Antoine, al quale “non riesce d’imparare” tra i banchi di scuola o le mura domestiche, ciò che è importante è apprendere le leggi della strada o chiudersi in un cinema per trovare la propria dimensione.
Dietro quest’incessante bisogno di crescita e maturità, si nasconde, però, la necessità di essere apprezzato e ben voluto dalle persone emotivamente più vicine, perché in fondo sempre di un bambino si tratta. La lotta di Antoine è, in primo luogo, una lotta interiore tra la propria anima-bambina e l’anima-adulta, è un rimanere in bilico tra il bisogno di innocenza e inconsapevolezza e la fame di conoscenza.
Le scene in cui Antoine sorride (decisamente poche) sono quelle in cui gli è permesso rimanere bambino; un gelato dopo il cinema o una mattina passata in un luna park rappresentano tutto ciò di cui ha bisogno. E’ quando invece si ostina a giocare a fare l’adulto che l’intera situazione si complica e non c’è spazio per le punizioni da bambini, ma sono le leggi dei grandi a valere. Dietro quest’incessante bisogno di crescita e maturità, si nasconde, però, la necessità di essere apprezzato e ben voluto dalle persone emotivamente più vicine, perché in fondo sempre di un bambino si tratta. La lotta di Antoine è, in primo luogo, una lotta interiore tra la propria anima-bambina e l’anima-adulta, è un rimanere in bilico tra il bisogno di innocenza e inconsapevolezza e la fame di conoscenza.
Ciò che spiazza è come tale condizione non sia percepita e riconosciuta da nessuno, fuorché da un suo coetaneo, il quale diventa l’unica ancora di salvataggio. I due piccoli uomini si sostengono a vicenda quando tutte le porte sono state chiuse e le chiavi gettate. Per questo quella scena finale, quella disperata corsa che porta al mare (mai visto da Antoine) ha una sapore diverso, di speranza.
Quella corsa che altro non è che il filo rosso che lega l’età dell’infanzia a quell’enorme distesa di acqua che è il diventare grandi.
La vita di Antoine e quella di Truffaut, in questo modo, sembrano fondersi insieme.
La grande capacità del maestro francese sta nell’aver saputo dipingere in maniera così cruda, ma allo stesso tempo delicata e leggera, quel momento di passaggio, così duro e necessario, dall’età dell’innocenza al tempo della consapevolezza e della maturità.
E proprio questo film rappresentò per me, la prima volta che lo vidi, quel momento di passaggio, di consapevolezza, di crescita interiore; è stata una delle prime pietre di quell’edificio che cerco ancora di costruire giorno dopo giorno.
Vi lascio con due scene
Scena marionette
Scena finale
Valeria