Il 12 dicembre del 1963 Yasujiro Ozu avrebbe compiuto sessant’anni ma quello fu pure il giorno della sua morte. Questo non è un evento usuale ma Ozu non è stato di certo una persona comune. Ritengo il suo cinema tra le creazioni più alte che il mondo della settima arte abbia prodotto in poco più di cento anni di vita. Conobbi i suoi film quando pensavo di avere già abbastanza esperienza nel campo delle conoscenze cinematografiche ma la visione dei suoi capolavori rimise in discussione tutte le mie teorie sul cinema. I film di Ozu erano qualcosa di straordinariamente nuovo, non riuscivo ad accostare la sua arte a quella di nessun altro autore. I suoi capolavori più grandi parlano del Giappone del dopoguerra, di una società profondamente segnata dall’esperienza atroce della seconda guerra mondiale. Ozu parlava di questo attraverso storie familiari, storie minime, rapporti tra padri e figli, generazioni a confronto in un mondo che cercava di rinascere dalle macerie. E’ stato definito il regista più giapponese per la sua profonda immersione nei riti della società nipponica ma, magicamente, parlando in maniera così specifica di un mondo a noi lontano nel tempo e nello spazio, riesce a parlare a tutti. Capacità che solo i grandi artisti hanno, trovare il mondo attraverso la visione di una piccola realtà quotidiana. Cominciai a vedere i suoi film in maniera quasi ossessiva, mi accorsi che le trame sembravano sempre molto simili ma quello che potrebbe essere un limite per altri registi, per Ozu diventava un valore aggiunto. Anche se iniziavo a confondere le trame di Viaggio a Tokyo, Tarda primavera, Il gusto del sakè, C’era un padre o Tardo autunno, scoprivo che di Ozu non potevo più farne a meno. Quando la malinconia o la stanchezza di un giorno faticoso si impadronivano di me ecco che Ozu mi prendeva per mano e mi faceva scoprire di nuovo la bellezza della vita. Come le commedie di Eduardo De Filippo ti donano un’umanità che, delle volte, non senti più di avere o come i quadri di Vermeer che riescono a darti serenità senza che tu sappia bene il perché, ecco che il cinema di Ozu ti restituisce tutto lo splendore dell’esistenza in un modo assolutamente misterioso.
Scoprì che quasi tutti i grandi registi della storia del cinema amavano Ozu, anche se sembravano distanti anni luce dalla sua poetica e dalla sua tecnica. Ozu fu anche un grande innovatore della tecnica cinematografica e le sue composizioni figurative hanno fatto scuola. La sua capacità di fare interi film senza un solo movimento di macchina (ma sfido chiunque ad accorgersene senza che lo sappia prima…) è straordinaria. Forse può sembrare eccessivo affermarlo (ma non per chi ami le sue opere) ma per me, malato di cinema da tanto tempo, esistono due storie del cinema. Una è quella di Yasujiro Ozu, nella seconda prendono spazio tutti gli altri. Non è questione di maggiore o minore importanza ma soltanto impossibilità di inserire Ozu all’interno di un discorso che racchiude anche altri autori.
Qualcuno ritiene esagerato il mio amore per il suo cinema ma sono sicuramente in buona compagnia. Quando a Wim Wenders (reduce dal suo Il cielo sopra Berlino, film sugli angeli e sull’animo umano), chiesero se credesse a una vita dopo la morte lui rispose che non sapeva se esistesse o meno un Paradiso ma era sicuro che sulla terra il posto che più gli si avvicinava era dentro i film di Yasujiro Ozu…
Arigatò.
Sergio
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