I riti sono probabilmente necessari agli uomini, attraverso il riproporsi di certi contesti l’uomo ritrova il filo rosso che lo lega al proprio passato e gli permette di guardare alla propria vita con un sentimento di unitarietà. Il Natale, al di là degli aspetti propriamente religiosi, rappresenta il rito più importante del mondo occidentale. L’atmosfera natalizia, che ruffiani messaggi pubblicitari ci vogliono inculcare solo per spendere un po’ di più, è in realtà uno dei sentimenti più intimi e nello stesso tempo (passando attraverso la sua unicità) più universali della nostra società. Molti amano questa data, qualcuno non la regge ma è difficile trovare chi rimanga indifferente all’avvicinarsi del 25 dicembre.
Personalmente ritengo che l’atmosfera natalizia riviva attraverso il riprodursi di sensazioni della propria infanzia, se riusciamo a risentire voci, emozioni che ci riportano a quello che sono stati i nostri natali passati ecco che questa atmosfera si appropria di noi. Assieme a volti e luoghi delle antiche feste, per me l’atmosfera ha bisogno di un piccolo sostegno culturale. Quello che per me funge da piccolo rito all’interno di un rito più grande: mettere su il dvd di Natale in casa Cupiello di Eduardo. Ritrovo immediatamente sensazioni innumerevoli che partono da me bambino e attraverso gli anni mi vedono crescere sempre con quella inimitabile voce edoardiana che dice “te piace ò presepe?”. Parlare di quest’opera da un punto di vista di critica teatrale mi allontanerebbe in questo momento da quello che vogliono essere queste righe. A volte mi chiedo anche se ci riuscirei… forse no, quando qualcosa è così legata alla tua persona come fai a sezionarla con gli strumenti della critica? La guardavo da bambino negli anni Settanta in televisione, poi negli anni Ottanta comprai la videocassetta e adesso il dvd… ogni volta che si avvicina il Natale Luca Cupiello si sveglia e ricomincia a fare il presepe. E ogni anno mi convinco sempre di più della grandezza di Eduardo De Filippo. Nessuno come lui riesce a parlarmi degli affetti familiari, delle cose che rendono una vita meritevole di essere vissuta. Di un’umanità che spesso fatico a ritrovare nel mondo. Luca Cupiello era, romanticamente, un illuso… non vedeva il mondo cambiare e, attraverso la costruzione del presepe, riproponeva se stesso da bambino con i suoi affetti inattaccabili e le sue certezze granitiche. Il suo presepe è misero ma lui ci vede il mondo intero, la sua famiglia attraversa situazioni complicate ma lui sembra non accorgersene, per lui esiste solo il Natale che arriva e il presepe da costruire. Ma il suo non è disinteresse, è fiducia nel fatto che solo l’amore rimette a posto le cose. Anche quelle più gravi. Perché quella che può sembrare la fissazione di Luca Cupiello è in realtà una delle più grandi lezioni che Eduardo ci ha lasciato. Non è facile trascriverla con parole questa lezione; sta tutta negli occhi di Luca Cupiello che chiede ancora una volta al figlio, nella scena finale, “te piace ò presepe?”. Gli eventi familiari sono precipitati ma nella risposta del figlio si riapre finalmente la speranza. Lui che rispondeva continuamente con fastidio al padre sull’utilità del presepe, trova alla fine un’illuminazione in quegli occhi e risponde “sì, me piace…” Non è un semplice scambio di battute tra padre e figlio, è una presa di coscienza fortissima da parte del figlio (e quindi della vita che verrà). Come i fedeli napoletani aspettano ogni anno la liquefazione del sangue di san Gennaro per affrontare con fiducia il futuro, ogni anno attendo l’ultima battuta di quest’opera immensa per vedere se riesco ancora ad emozionarmi e a dire, ancora una volta, “ si, me piace ò presepe…”
SergioNatale in casa Cupiello