martedì 31 gennaio 2012

L'esplosivo piano di Bazil - Jean-Pierre Jeunet



Dove si è nascosto Jean-Pierre Jeunet? Dov’è finita la sua poesia?  E la capacità di emozionare con le piccole cose?
In Amèlie il trasporto è stato totale, come se il regista francese mi avesse letto nel pensiero e avesse trasferito tutto ciò che trovava nella mia contorta testolina sullo schermo, utilizzando un linguaggio personalissimo che lo rende ormai inconfondibile.
Ho sempre pensato che il colore giallo dei suoi film rappresentasse quel calore e quel trasporto emotivo che le sue pellicole hanno sempre posseduto, ma con Bazil non è stato così.
E’ come se Jeunet e i suoi personaggi si fossero persi e non trovassero più la strada per raccontarsi agli altri, donandoci solamente piccoli attimi. Il calore in questo caso si trasforma in gelo.
Non so se il problema sia la scrittura o gli attori, ma Bazil non riesce in quello che fa Amèlie, eppure la sua storia dovrebbe da sola incollarci allo schermo e farci patire e sorridere insieme a lui.
Se Amèlie eravamo noi, Bazil  invece rimane lontano.
Quello che mi fa più arrabbiare è il non essere mai entrata dentro il film, il non essermi mai appassionata a quelle vicende e il non comprendere fino in fondo il bisogno di una vendetta che nella vita reale sarebbe stata comunque plausibile e comprensibile per la maggior parte delle persone. Perché non sono riuscita a capire e sostenere un ragazzo che vuole distruggere le due più grandi fabbriche di armi francesi in quanto colpevoli di aver  ucciso suo padre e che hanno rischiato di fare fuori anche lui?
La motivazione iniziale di per se basterebbe, ma Bazil rimane comunque lontano.
Ci sono alcune scene che ci ricordano che Jeunet è ancora lì con la sua immensa creatività e genialità, ma nel complesso il film lascia poco, anche se diverte e fa sorridere.
Dispiace che il regista francese abbia perso l’occasione di regalarci ancora una volta  storie e personaggi unici, capaci di lasciare il segno, emozionare e far riflettere allo stesso tempo.
Ho letto da qualche parte che è stato definito “il regista degli emarginati”, ed effettivamente mi trovo d’accordo con questa affermazione. Jeunet ha sempre dato voce a chi aveva paura, ai dimenticati, ai maltrattati e sfruttati ed è stato così anche in questo caso. Bazil e i suoi strampalati amici vivono sotto una discarica, non hanno lavoro e sembrano non esistere, ma riescono ugualmente a lasciare un segno nel mondo.
In fondo Jeunet è sempre stato un grande umanista, fiducioso nella capacità e nella solidarietà umane, ha sempre creduto che l’uomo potesse fare grandi cose utilizzando i mezzi a sua disposizione in maniera opportuna.  La creatività e l’ingegno sono sempre al centro delle sue vicende. Per questo motivo il film lascia l’amaro in bocca; i personaggi creati da Jeunet hanno le loro particolarità, le loro manie, i loro sogni, ma rimangono bidimensionali accatastati sullo schermo e dimenticati presto.

Trailer

Valeria

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