Pochi registi potevano pensare di realizzare un
soggetto come Amour. Ma Michael Haneke non è diventato uno dei più grandi
autori al mondo per nulla. Il suo cinema ci accompagna da più di vent’anni
riuscendo spesso a provocarci dei brividi simili a quelli che un essere umano avverte
tutte le volte che qualcuno,o qualcosa, ci svelano un pezzo della nostra anima.
La pellicola, palma d’oro lo scorso anno a Cannes, è una
delle più forti storie d’amore mai realizzate. Ma è anche una storia di
malattia e di morte, di pudore e solitudine, di emozione purissima e
raggelante. Una di quelle storie che ti lasciano per un po’ in silenzio prima
di potere riprendere a parlare.
Una coppia di anziani coniugi, un ictus che colpisce la
moglie e il lento decadimento verso la fine. Potrebbe sembrare una sinossi
pericolosissima per il cinema ma Haneke non è un regista qualunque. Lui ha
sempre rifiutato la pornografia del dolore, sa benissimo quando un autore deve
fermarsi per far parlare la storia e non dare mai un movimento inutile della
macchina da presa. E sa anche che per una storia del genere servono due
interpreti di una bravura straordinaria, per questo sceglie Jean Louis
Trintignant e Emmanuelle Riva. Nel film non compare mai un medico,una corsia d’ospedale
o qualche immagine che ti costringe a socchiudere gli occhi per la tensione, ma
è talmente essenziale da farti confrontare con la tua interiorità più profonda.
Credo che ogni spettatore di questo film potrà reagire in modo differente alla
visione proprio perché l’anima di ognuno di noi è unica e ciascuno reagisce in
maniera diversa agli eventi limite
della vita. Anne e Georges decidono di vivere il loro dramma con un pudore
estremo, pochissimi contatti con il mondo esterno se non quelli essenziali.
Anche la figlia viene tenuta a una distanza discreta perché, come gli spiega Georges,
“tutto questo non merita di essere messo
in mostra…”. L’etica del dolore è quella che Haneke ci regala attraverso le
azioni dei protagonisti ma anche il pudore dei comportamenti e quello,
importantissimo, delle parole che ti insegna a non chiedere mai ad un malato
come sta o se si può fare qualcosa per lui.
La falsa pietà di chi è incapace, fosse anche la figlia,
di comprendere a fondo il senso di tragedia di un essere umano alle prese con
la perdita progressiva della vita deve essere allontanato per salvaguardare ciò
che, fino alla fine, rimane della persona che amiamo, la dignità e i ricordi.
Haneke ci mostra, quasi con scientificità, quanto impreparati siamo a gestire
gli aspetti limite dell’esistenza ma ci offre una commovente rappresentazione
di ciò che può riuscire a fare l’uomo messo di fronte all’abisso. L’amore,
quello più nobile e alto, che Georges regala ad Anne è una grandissima lezione
di compassione, una lezione morale di sublime altezza. Rimaniamo muti di fronte
a questo spettacolo, certi di avere assistito a qualcosa di grande, che
probabilmente non riusciremo a spiegare bene con le parole ma avrà contribuito
a migliorare la nostra vita.
Sergio
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