mercoledì 20 novembre 2013

Quentin Tarantino - Django Unchained



Quentin Tarantino riesce sempre a stupirmi. Tutte le volte che mi aspetto grandi cose da lui mi delude regolarmente e, mentre stavo ormai per perdere le speranze, ecco che con Django Unchained tira nuovamente fuori quella classe visiva che indubbiamente possiede.
Ho sempre pensato che Tarantino abbia delle qualità di scrittura e di messa in scena di notevole levatura. Allo stesso tempo ho sempre cercato di mantenermi fuori dalle partigianerie eccessive che da sempre lo accompagnano. Esaltato o odiato in misura sempre più alta di quanto non meritasse. Probabilmente anche questo è uno dei motivi per cui aspetto sempre un po’ prima di vedere i suoi film, non farsi distrarre dalle eccessive urla di giubilo e di orrore che i suoi titoli si portano dietro è ormai per me una regola imprescindibile. Eccomi quindi a parlare di Django quando tutti i fan del regista lo hanno già visto e i suoi detrattori (probabilmente) non lo vedranno mai. Come detto all’inizio non mi aspettavo grandi cose da quest’opera che arrivava dopo una serie di film (da Kill Bill 1 e 2, all’orrendo Grindhouse e al sopravvalutato Bastardi senza gloria) che ho sempre definito girati con la mano sinistra da un regista che, pur divertendosi sempre di più a giocare con il suo mezzo preferito, dimenticava che il cinema è (anche) capacità di andare oltre all’immagine ben fatta e alla battuta sapientemente costruita. Avevo perso la speranza di rivedere il Quentin di Pulp Fiction o delle Iene o quello sottovalutato, ma per me magico, di Jackie Brown. Pensavo che probabilmente la filosofia cinematografica pulp si era definitivamente inaridita, prosciugata da decine di registi scadenti a cui bastava far vedere un po’ di sangue e qualche turpiloquio linguistico per definirsi tarantiniani (e tarantolati). Penso che il buon Quentin questo lo avesse avvertito e sapesse anche di essere arrivato a un punto di svolta. Continuare a fare film adatti solo ai suoi fan oppure ritornare ad essere quel regista che, pur amando sangue e parolacce, è un profondissimo conoscitore di cinema (e non soltanto quello trash come purtroppo molti credono).

Django Unchained è un film che ad ogni inquadratura porta la firma del suo autore; guardandolo pensavo che finalmente al suo ottavo lungometraggio Tarantino ha deciso di omaggiare il cinema del selvaggio west da lui tanto amato. Probabilmente questa ambientazione ha anche favorito la credibilità della sua messinscena: cosa meglio di un buon vecchio western per giustificare le sinfonie splatter del nostro autore? Ma, fortunatamente, questa volta si va oltre la sapienza visiva e l’irresistibile ritmo delle battute. Nel film i personaggi e la storia sono di grande spessore. Dietro la storia dello schiavo Django, affrancato da un improbabile (ma irresistibile) medico tedesco e con lui diventato un feroce cacciatore di taglie, abbiamo una lucidissima analisi dell’universo dell’America razzista del diciannovesimo secolo. Il tutto naturalmente sotto la lente grottesca di Tarantino che però ha il pregio di non mandare tutto in caciara (come ha qualche volta fatto nel recente passato). L’autore ha il grosso merito di calare il suo mondo, fatto di personaggi unici e, spesso, divertentissimi, all’interno di una storia che non perde mai la sua linearità, difetto che in passato mi provocava un’infinita noia alla visione delle sue opere. Tarantino quando riesce a non farsi prendere la mano, lasciandosi distruggere dal suo essere eccessivamente anarchico, credo sia un autore di altissimo livello. Come i grandi maestri del cinema ci hanno sempre insegnato nel passato, essere dei geni non basta per fare cinema di alto livello se non si possiede anche un rigore narrativo e ritmico dato da uno studio serio. Quando Tarantino si ricorda che, oltre ad amare gli spaghetti western e tutti i film di serie zeta, è anche un profondo conoscitore del cinema alto (non a caso la sua casa di produzione cinematografica di chiama A band Apart omaggio dichiarato a quel genio di Jean Luc Godard), le sue opere riescono a essere irresistibili e originali che magari non piaceranno a tutti (o piaceranno troppo ad altri) ma a me riusciranno sempre a donare un paio d’ore di divertimento. Speriamo che Quentin continui così.

Sergio 

Trailer:



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