Quentin Tarantino riesce sempre a stupirmi. Tutte le
volte che mi aspetto grandi cose da lui mi delude regolarmente e, mentre stavo
ormai per perdere le speranze, ecco che con Django
Unchained tira nuovamente fuori quella classe visiva che indubbiamente
possiede.
Ho sempre pensato che Tarantino abbia delle qualità di
scrittura e di messa in scena di notevole levatura. Allo stesso tempo ho sempre
cercato di mantenermi fuori dalle partigianerie eccessive che da sempre lo
accompagnano. Esaltato o odiato in misura sempre più alta di quanto non
meritasse. Probabilmente anche questo è uno dei motivi per cui aspetto sempre
un po’ prima di vedere i suoi film, non farsi distrarre dalle eccessive urla di
giubilo e di orrore che i suoi titoli si portano dietro è ormai per me una
regola imprescindibile. Eccomi quindi a parlare di Django quando tutti i fan del regista lo hanno già visto e i suoi
detrattori (probabilmente) non lo vedranno mai. Come detto all’inizio non mi
aspettavo grandi cose da quest’opera che arrivava dopo una serie di film (da Kill Bill 1 e 2, all’orrendo Grindhouse
e al sopravvalutato Bastardi senza gloria)
che ho sempre definito girati con la mano sinistra da un regista che, pur
divertendosi sempre di più a giocare con il suo mezzo preferito, dimenticava
che il cinema è (anche) capacità di andare oltre all’immagine ben fatta e alla
battuta sapientemente costruita. Avevo perso la speranza di rivedere il Quentin
di Pulp Fiction o delle Iene o quello sottovalutato, ma per me
magico, di Jackie Brown. Pensavo che
probabilmente la filosofia cinematografica pulp si era definitivamente
inaridita, prosciugata da decine di registi scadenti a cui bastava far vedere
un po’ di sangue e qualche turpiloquio linguistico per definirsi tarantiniani
(e tarantolati). Penso che il buon Quentin questo lo avesse avvertito e sapesse
anche di essere arrivato a un punto di svolta. Continuare a fare film adatti
solo ai suoi fan oppure ritornare ad essere quel regista che, pur amando sangue e parolacce, è un profondissimo
conoscitore di cinema (e non soltanto quello trash come purtroppo molti
credono).
Django
Unchained è un film che ad ogni inquadratura porta la firma del suo
autore; guardandolo pensavo che finalmente al suo ottavo lungometraggio
Tarantino ha deciso di omaggiare il cinema del selvaggio west da lui tanto amato. Probabilmente questa
ambientazione ha anche favorito la credibilità della sua messinscena: cosa
meglio di un buon vecchio western per giustificare le sinfonie splatter del
nostro autore? Ma, fortunatamente, questa volta si va oltre la sapienza visiva
e l’irresistibile ritmo delle battute. Nel film i personaggi e la storia sono
di grande spessore. Dietro la storia dello schiavo Django, affrancato da un
improbabile (ma irresistibile) medico tedesco e con lui diventato un feroce
cacciatore di taglie, abbiamo una lucidissima analisi dell’universo dell’America
razzista del diciannovesimo secolo. Il tutto naturalmente sotto la lente
grottesca di Tarantino che però ha il pregio di non mandare tutto in caciara (come ha qualche volta
fatto nel recente passato). L’autore ha il grosso merito di calare il suo mondo,
fatto di personaggi unici e, spesso, divertentissimi, all’interno di una storia
che non perde mai la sua linearità, difetto che in passato mi provocava un’infinita
noia alla visione delle sue opere. Tarantino quando riesce a non farsi prendere
la mano, lasciandosi distruggere dal suo essere eccessivamente anarchico, credo
sia un autore di altissimo livello. Come i grandi maestri del cinema ci hanno
sempre insegnato nel passato, essere dei geni non basta per fare cinema di alto
livello se non si possiede anche un rigore narrativo e ritmico dato da uno
studio serio. Quando Tarantino si ricorda che, oltre ad amare gli spaghetti
western e tutti i film di serie zeta, è anche un profondo conoscitore del cinema
alto (non a caso la sua casa di produzione cinematografica di chiama A band Apart omaggio dichiarato a quel
genio di Jean Luc Godard), le sue opere riescono a essere irresistibili e
originali che magari non piaceranno a tutti (o piaceranno troppo ad altri) ma a
me riusciranno sempre a donare un paio d’ore di divertimento. Speriamo che
Quentin continui così.
Sergio
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