martedì 5 novembre 2013

Another year - Mike Leigh


Guardare un film di Mike Leigh ricorda un po’ le atmosfere di certe cene che organizzi con gli amici, quelli veri, quelli che, nonostante gli anni trascorrano, ti danno la certezza di volere ancora bene e di essere ricambiato. Si parla con gli amici, si ricordano vecchi episodi e si ride per qualcosa che soltanto all’interno del ristretto gruppo si può comprendere. Si fa qualche progetto con un bicchiere di vino in mano e poi si ritorna alla vita di sempre, al trascorrere delle stagioni, agli eventi belli e brutti che la contraddistinguono. Il mondo non cambia per questo ma tu ti senti meglio.
Mike Leigh è uno dei più grandi registi inglesi in attività, raramente sbaglia un film. Nelle sue storie c’è la vita, quella vera, che quando la guardi non ti sembra di stare al cinema ma vorresti essere uno dei personaggi della pellicola per potere parlare con loro. Perché nelle loro gioie, nelle loro paure, riconosci le tue.
Another year sembra essere un film di Rohmer con i suoi lunghi dialoghi e la divisione del film in quattro parti corrispondenti alle quattro stagioni ma, a differenza del maestro francese, nel suo film c’è meno filosofia e più quotidianità. I personaggi del film di Leigh ruotano attorno alla famiglia di Gerri una psicologa cinquantenne e suo marito Tom ingegnere coetaneo. Gli anni che passano lasciano tracce evidenti sui corpi ma la loro serenità e il loro amore gli fanno affrontare ogni cosa con una leggerezza estrema. Diventano per questo punto di riferimento per gli amici, ognuno di loro con qualche problema esistenziale come Mary, l’amica divorziata e in perenne crisi di solitudine o il fratello di Tom rimasto vedovo da poco. La casa della coppia diventa un luogo di incontro in cui organizzare barbecue o amene cenette dove ognuno prende un pezzo della propria vita e la confronta con quella degli altri. In un film del genere la scrittura diventa essenziale per trovare il giusto equilibrio e dare all’intera opera il senso alto a cui mira. Leigh è maestro nella capacità di creare dialoghi mai banali e sempre carichi di senso, i suoi attori sono straordinari nel riuscire a parlare con ogni piccolo movimento del corpo. Tutto la storia diventa un’esperienza di crescita per ogni personaggio e anche per ogni spettatore che vive assieme a loro l’esperienza della vita che passa.

Ci sentiamo più pieni alla fine del film, carichi di un’umanità positiva che diventa l’arma migliore contro il cinismo che delle volte sembra essere l’unico strumento per sopravvivere. Quando guardi i film di Mike Leigh, come in quelli di Ken Loach l’altro grande maestro del cinema inglese, riesci ancora a dare un po’ di credito agli esseri umani. Uno strano corto circuito mi prende nell’avere visto questo film subito dopo La grande bellezza di Sorrentino; quanto mi sarebbe piaciuto che qualcuno dei personaggi del film italiano fosse comparso improvvisamente negli ambienti di Mike Leigh a farsi una lezione di umiltà e, soprattutto, di umanità.

Sergio

Trailer:



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