venerdì 1 luglio 2011

Louis Ferdinand Céline (27-05-1894 / 01-07-1961)

Oggi sono cinquant’anni che Louis Ferdinand Destouches, medico e scrittore meglio noto come Céline, ha deciso di andare da qualche altra parte e lasciarci solo i suoi libri per ricordarlo. A poche ore di distanza da quel primo luglio del 1961 un altro scrittore,Ernest Hemingway, si sparava un colpo di fucile decidendo di farla finita. La morte di Céline passò sotto silenzio, quella di Hemingway fu in risalto sui giornali di tutto il mondo.
Di Céline, probabilmente lo scrittore più scomodo del Novecento, si parlava malvolentieri. Uno scrittore maledetto, un collaborazionista, un uomo bruciato dalle sue follie… Usato successivamente da beceri gruppi reazionari, che nulla capivano di letteratura, come manifesto per propagande deliranti. A distanza di cinquant’anni per fortuna la situazione è cambiata, non si usano più le lenti distorte dell’ideologia per valutare l’opera di quello che ritengo essere uno dei più grandi scrittori del Novecento.
Erano i primi anni Novanta, quando mi imbattei per caso nelle pagine del “Viaggio al termine della notte” e finalmente riuscì a comprendere cosa voleva dire un libro che ti cambia la vita, poi passai al suo secondo romanzo “Morte a credito” e lo shock fu ancora maggiore. Céline mi era ormai entrato dentro in modo definitivo e sapevo che non mi avrebbe più lasciato. Dopo vent’anni il mio giudizio è rimasto immutato. Leggere tutte le sue opere, i saggi critici a lui dedicati, scriverci la mia tesi di laurea,mi hanno permesso di comprendere meglio il suo mondo, la sua poetica e il suo incredibile laboratorio di scrittura, ma tutto ciò nulla ha tolto alla capacità di emozionarmi ogni volta che prendo in mano quei suoi due primi libri.
Sarebbe impossibile tratteggiare in poche righe la vita e il percorso poetico di qualunque scrittore figuriamoci di un gigante come Céline. Dall’entusiasmo generale per i suoi due primi libri (1932 e 1936), all’allucinato scrittore dei pamphlet antisemiti (1937-1941);  dalla fuga in Germania alla fine della guerra, all’arresto in Danimarca per collaborazionismo e ai suoi ultimi anni in Francia, la sua vita è stata essa stessa un romanzo. Riuscì a essere amato e odiato da tutti. Ma lui continuava a spiazzare, fedele solo alla sua lucida, feroce, disillusa onestà intellettuale. Come può un uomo scrivere i passi più carichi di amore e di pietà verso tutto ciò che è vita e poi diventare uno dei più feroci e cinici fustigatori dell’essere umano (rintanandosi alla fine in una piccola villetta circondato solo dalla sua compagna e un numero indefinito di cani e gatti abbandonati)? Volevo cercare di capire come un uomo può passare da un amore così profondo a un odio (apparentemente) feroce. Non mi accontentavo delle soluzioni di comodo, Céline impazzito, Céline pagato che critici incompetenti affibiavano con fretta alla sua figura. Doveva esserci qualcosa di diverso… non so se sono arrivato a una conclusione (il bello dello studio e della ricerca letteraria consiste nel non arrivare mai a un dato definitivo),  ma di certo so che la poetica di Céline cammina per un binario assolutamente coerente con quella che era la sua visione dell’uomo. Amava gli uomini di un amore totale ma appena scoprì che erano capaci (anche) di azioni malvage cominciò a detestarli, a scaricare addosso all’umanità i peggiori improperi, ma lo faceva per difendere quello che era stato e quello che continuava ad essere nel profondo del suo animo. Non si fidava più della moltitudine, ma  soltanto dei singoli, dai vecchietti indigenti che curava gratuitamente a Meudon quando, ormai vecchio e dimenticato da tutti aspettava la fine, agli animali abbandonati che custodiva con amore riuscendo a incanalare quel suo profondo amore verso tutte quelle forme di vita che non avevano altro modo di ringraziare che con lo sguardo,quello che bastava a Céline per sentirsi uomo.
Céline mi ha insegnato,e continua a insegnarmi, ciò che ritengo essere il senso profondo di una vita coerente con il proprio senso etico. Di un amore non teorico e a tanto al chilo con cui molti si riempiono la bocca, ma di quello vero, disinteressato che siamo capaci di dare quando nessuno ci vede,con il pudore della tenerezza, quello che troviamo negli occhi di un cane quando facciamo loro una carezza o nella gioia di un amico quando gli stiamo accanto per il solo piacere di condividere un pezzo di strada insieme.

Sergio
Brano tratto dal libro "Da un castello all'altro"
Brano tratto dal libro "Viaggio al termine della notte"

7 commenti:

  1. Bellissimo quello che hai scritto *_____*

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  2. le si permetteva tutto!... mangiava come noi!... scappava via… tornava… mai un rimprovero… per così dire ci mangiava nei piatti… più il mondo ci ha fatto delle cattiverie più ci siamo sentiti di coccolarla…

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  3. e la curiosità su Céline schizza sempre più alle vette. Già quando me ne parlavi mi aveva interessato. Poi Bukowski ha messo del suo quando lo incontra in Pulp. Ora queste parole.
    Bellissima la nota di Da un castello all'altro..
    non mi stupisce che commuova la zia duediquadri in particolar modo :-)

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  4. Curiosità, curiosità, curiosità :)
    Bellissime parole!

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  5. Ciao Sergio, complimenti per la mirabolante impresa di sintetizzare l'enormità di Céline in poche efficaci righe... Qualcuno, parlando di lui, ha detto "la tranquillità è per i mediocri, quelli la cui testa scompare fra la folla". Era uno spirito inquieto, un grande tecnico, forse un pazzo. Ma se non ci fossero uomini come lui, contraddittori e spietatamente lucidi, sarebbe solo un permanente e perbenista festival di Woodstock.
    Ciao,
    A.

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  6. Grazie Angelo, sul permanente e perbenista festival di Woodstock ti rimando alla prossima birra...

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