martedì 20 settembre 2011

Juan Josè Campanella - Il segreto dei suoi occhi

Il cinema argentino non arriva spesso da noi ma quando questo avviene capita frequentemente che ci regali delle belle sorprese. Così avviene che, accanto ai lavori del maestro Fernando Solanas, negli ultimi anni abbiamo potuto apprezzare opere come quelle di Lucrecia Martel (La cienaga) o di Pablo Trapero (Mondo grua) senza contare i film dell’italo argentino Marco Bechis (Garage Olimpo e Figli su tutti).
La storia dell’Argentina degli ultimi trent’anni è talmente piena di avvenimenti, per lo più drammatici (la dittatura militare prima e la spaventosa recessione economica poi), da avere inevitabilmente influenzato gli autori che si apprestavano a raccontare delle storie nazionali. Quando l’anno scorso l’opera di Juan Josè Campanella “Il segreto dei suoi occhi”, ha vinto il premio oscar come miglior film straniero ho avuto la speranza di entrare in contatto con un altro autore di rilievo. La visione del film non mi ha deluso.
Il racconto del film si snoda attraverso venticinque anni, tra la metà degli anni Settanta e gli inizi degli anni Novanta. La figura del protagonista è quella di un funzionario di tribunale che, andato in pensione, decide di scrivere un romanzo su uno dei casi che più lo segnarono durante la sua carriera. Quello di una giovane sposa stuprata e uccisa da un vecchio amico di infanzia. Attraverso questo fatto di sangue si ripercorrono storie private e pubbliche di un intero paese che era sull’orlo del precipizio. Precipizio nel quale da lì a poco cadde con una delle dittature militari più odiose degli ultimi decenni. Il film ha una scrittura poderosa che non lascia niente al caso, abbraccia diversi linguaggi cinematografici senza diventare mai di genere.
Tra i diversi meriti del film sicuramente da rimarcare il modo in cui riesce a suggerire in modo quasi impercettibile la discesa di un paese nel baratro della dittatura. Lo si scopre quando assassini che stavano in galera vengono liberati per entrare a fare parte delle squadre della morte, quando tutti quelli che non si allineano cominciano a essere spediti dove non possono più nuocere (il caso del protagonista). L’Argentina continua a fare i conti con il suo passato e  anche attraverso questo film ci restituisce in pieno l’atmosfera di un periodo storico.
Ma il film è anche una bellissima storia d’amore, di un amore strappato (quello del marito della vittima che non potrà più mettersi alle spalle la tragedia), di un amore mai dichiarato (quello del protagonista verso la collega giudice). Continui sussulti del cuore dietro storie perdute e storie mai nate, tra strani scherzi del destino che ricordano le atmosfere kieslowskiane (credo che la scena iniziale sul treno sia proprio un omaggio a Destino cieco del grande autore polacco).
Un film da vedere e da consigliare anche a chi non è cinefilo perché ha un linguaggio semplice e non si perde mai dietro a intellettualismi arditi.  Un film bello, verrebbe da dire come si facevano una volta…
Sergio

Film - Scena della stazione

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