Pur amando i festival del cinema, non sono particolarmente attento al momento dei premi e riconoscimenti, troppe sono le variabili che portano ad assegnare leoni o palme d’oro a un autore piuttosto che ad un altro. Ma quando, come qualche giorno fa, un regista come Aleksandr Sokurov riesce ad aggiudicarsi il leone d’oro a Venezia, sono felice soprattutto per un motivo: sapere che il suo film riuscirà ad ottenere una distribuzione (sia pur minima…) nel nostro paese.
Sokurov è uno dei massimi esponenti del cinema contemporaneo . Iniziò a girare in Unione Sovietica negli anni Settanta, intimo amico di Andrej Tarkovskij condivise con lui le censure del potere che mal sopportava tutti quegli autori inclini a una predisposizione intimistica nel linguaggio cinematografico. La sua filmografia è imponente e non comprende soltanto lungometraggi ma anche numerosi documentari. La sua collezione di Elegie (omaggi a personaggi e luoghi della sua terra, tra le quali una struggente Elegia moscovita (1987) dedicata proprio a Tarkovskij), lo colloca tra gli autori più importanti del cinema dell’est europeo. In Italia fu soltanto nel 1997 che conobbe la sua prima distribuzione con il lungometraggio Madre e figlio. Con questo capolavoro assolutamente magico nelle atmosfere e nel linguaggio (ispirato ai dipinti di Caspar Friedrich), Sokurov rielabora il rapporto tra madre e figlio in un’ottica onirica ma con un grado di emotività talmente profonda da non potere lasciare indifferente. A partire da quel film Sokurov conobbe o giudizi esaltanti o stroncature durissime. Naturalmente faccio parte di coloro che amano il suo cinema pur nella consapevolezza che in alcuni suoi lavori l’eccessivo carico di poesia porta a una complicata lettura dell’opera rendendola troppo criptica (un po’ come il Tarkovskij di Nostalghia o Il sacrificio). Ma quando il suo stile non si lascia andare a virtuosismi (sia tecnici che linguistici) troppo arditi, ecco che i suoi film ti entrano dentro con una delicatezza e una forza che solo la poesia riesce a fare. E’ il caso di Alexandra (2007), o dei suoi film che precedono quest’ultimo Faust vincitore a Venezia. Moloch (1999) Toro (2001) e Il sole (2005), che sono i primi tre capitoli della tetralogia (conclusasi appunto con Faust) che indagano sulla natura del potere su tre personaggi diversissimi (Hitler, Lenin e l’imperatore giapponese Hirohito) ma accomunati dal fatto di essere delle personalità fuori dal comune.
Per guardare Sokurov non è necessario essere degli esperti del linguaggio cinematografico ma bisogna essere predisposti ad accogliere e rielaborare le sue immagini come quando, da lettori, ci troviamo di fronte a una poesia di Montale. Soltanto allo spettatore pigro sarà interdetto l’ingresso in un universo poetico straordinario. Per tutti gli altri rimarrà la soddisfazione di entrare in simbiosi con un artista che speriamo possa in futuro (anche grazie a questo Leone d’oro) raccogliere il successo che merita.
Sergio
Da "Madre e figlio" (1997)
Sergio
Da "Madre e figlio" (1997)
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