Leggere il nome di Toshiro Mifune nel cast di un film è ormai una garanzia. Mai, finora, ne sono stato deluso. Stavolta non diretto dal più abile Kurosawa, Mifune veste i panni del samurai ribelle, sotto la guida di Masaki Kobayashi, già specializzato in film sui samurai e sul Giappone antico, come Harakiri e Kwaidan, entrambi premiati a Cannes.
Il regista ci mostra un samurai molto più umano di quello del nostro immaginario collettivo. Un samurai che arriva addirittura a ribellarsi al proprio Daimyō (alta carica feudale a cui i samurai erano sottoposti) anteponendo i propri sentimenti e il proprio senso di giustizia al rigidissimo codice comportamentale a cui è votato.
La storia è quella della famiglia Sasahara, che vede Toshiro Mifune nel ruolo di Isaburo, padre capofamiglia, intrappolato in un matrimonio senz’amore, che vive esclusivamente per l’amore verso il figlio Yogoro. A seguito di una pesante angheria del Daimyō, che si approfitta del suo rango per ordinare alla famiglia Sasahara di restituirgli Ichi, moglie di Yogoro, Isaburo decide di ribellarsi per difendere l’amore di suo figlio e della nuora.
Quest’evento sarà motore di catastrofi sociali: secondo il codice comportamentale del Giappone antico, un samurai che disobbedisce a un ordine del daimyō ha l’obbligo di fare seppuku (suicidio rituale simile al più noto harakiri), ma Isaburo si rifiuta, mettendosi contro tutti i samurai della sua terra, perfino quelli che gli erano più amici.
Straordinario è il confronto tra Isaburo e Tatewaki, suo stretto amico, anch’egli samurai, costretto a schierarsi contro di lui per adempiere ai propri doveri.
Nonostante qualche tratto eccessivamente fumettistico, mi riferisco a scene “alla Batman” in cui il protagonista combatte contro una cinquantina di guerrieri insieme uscendone vincente e pressocchè illeso, il film riesce a risultare credibile all’occhio dello spettatore, che non può fare a meno di sentirsi coinvolto in una storia dove prevale inizialmente un senso di impotenza, poi sostituito, grazie anche ai furenti sguardi di Toshiro Mifune, da un dirompente spirito rivoluzionario.
E’ sorprendente come ci si riesce a immedesimare in storie così lontane da noi e in modi di pensare così diversi. E’ strano come un occidentale possa accettare una scena di due cari amici che duellano fino alla morte mantenendo alta e solida la loro amicizia. E mi riferisco a uno solo dei tanti esempi possibili.
Ho trovato bellissimo, inoltre, perdermi nei dettagli un po’ meno significanti del film, quelli che fanno riferimento ai costumi e alle tradizioni della cultura medievale giapponese. L’architettura delle case, i giardini zen, il modo di aprire le porte scorrevoli, l’abitudine di inginocchiarsi prima di dire o fare qualcosa di importante, il samurai che porta sempre con sé due spade, una lunga e una corta.. e tante altre piccole cose, insignificanti dal punto di vista della storia, ma interessantissime per scoprire una cultura che conosco così poco.
Un saluto a tutti
Arigato! :-)
Bello scoprire che postiamo nello stesso momento... bravo Robin! Io ho scoperto di avere Harakiri di Kobayashi ma non sono ancora riuscito a vederlo.
RispondiElimina