E’ sempre piacevole constatare come il cinema italiano, da troppi anni etichettato come vecchio, polveroso e, addirittura, morto, sia ancora in grado di sfornare opere bisognose di raccontare storie ed emozioni profondamente radicate alla nostra realtà quotidiana; ed è ancora più confortante notare come tutto questo sia frutto di un’opera prima, partorita da una giovane aspirante regista dalle idee chiare e con la precisa volontà di rischiare e superare quella fitta rete di banalità e mediocrità in cui buona parte del cinema nostrano è rimasto intrappolato.
Così Paola Randi ci regala una deliziosa fiaba sociale multietnica, piccola a livello di budget e risorse tecniche, ma grande nelle premesse e negli obiettivi.
La storia è quella di Alfonso, un timido ed impacciato precario ricercatore universitario, rimasto senza lavoro e costretto a rivolgersi ad un vecchio amico d’infanzia, un politico in ascesa legato alla mafia locale, per mandare avanti la propria vita. Coinvolto in una resa dei conti tra camorristi si troverà costretto a rifugiarsi nel terrazzo di una grande comunità srilankese nel cuore di Napoli, scontrandosi così con una realtà atipica e particolare che gli cambierà l’esistenza.
Un isolamento forzato all’interno di un piccolo “paradiso” simbolo di una realtà ancestrale ed atavica, ancora non contaminata dal bisogno incessante di potere e dalla volontà di migliorare a tutti i costi la propria condizione sociale; un’oasi retta da una collettività operosa per il bene comune, aperta al prossimo e al diverso che poco ha a che vedere con quella realtà ghettizzante che ci circonda e ci soffoca. Così la terrazza in cui Alfonso si trova intrappolato rappresenta una vera propria boccata d’aria, un tuffo in un mare di solidarietà e rispetto che non conosce limiti.
Parallelamente si sviluppa il tema della criminalità organizzata, tema a noi caro e costantemente affrontato, scardinato e mostrato in tutte le salse, qui presentato in chiave nuova, in bilico tra il comico e il grottesco; un mondo imbarazzante e sopra le righe, inserito all’interno di una realtà asettica e fredda, come quella del reparto surgelati di un supermercato che si vede già sconfitto di fronte all’accogliente e cordiale microcosmo skrilankese.
Due diverse realtà a confronto rese ancora più lontane dalle scelte cromatiche (colori freddi e opachi per il mondo criminale e caldi ed accesi per la piccola comunità straniera) e dei luoghi che nelle loro architetture e conformazioni hanno tanto da raccontare.
L’intreccio tra commedia degli equivoci e commedia social sentimentale, la scelta di una narrazione sospesa tra il fiabesco e il reale e di accorgimenti stilistici che si distanziano dal contemporaneo panorama cinematografico italiano ci regalano un’opera unica nel suo genere, che sfrutta le potenzialità del mezzo per raccontare una storia universale nei personaggi e nelle emozioni.
Il cinema è denuncia, è riflessione, è racconto, è emozione, ma la Randi ci ricorda che il cinema è capace anche di farci sognare, di creare mondi possibili per dirla alla Leibniz, di modellare universi apparentemente distanti dalla nostra realtà, ma capaci di smuoverci e spingerci al cambiamento e alla rivoluzione delle coscienze.
Quello che la giovane regista intende fare è proprio rivoluzionare il modo di narrare, correndo il rischio di sperimentare (realtà quasi sconosciuta nel nostro paese) non demolendo l’anima della settima arte.
E come erano soliti fare i grandi maestri della commedia italiana, a volte è necessario nascondere la degradazione e l’abiezione dietro un’apparente sorriso, dietro una risata che ha radici ben più profonde e tragiche; un lieto fine che non dia serenità ed appagamento, ma che porti maggior consapevolezza e spinga alla riflessione, all’indignazione e al conseguente miglioramento.
Trailer
Valeria
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