Quando ti metti a parlare di un film di Quentin Tarantino sai già che scontenterai qualcuno. Sempre giudizi netti su di lui, chi lo adora e chi lo odia, chi pensa che sia uno degli autori più importanti degli ultimi anni e chi lo rifugge come la peste. In effetti il suo cinema non è mai stato conciliante e il termine carino (con cui spesso ci togliamo il pensiero per giudicare un’opera che non ci ha fatto né caldo né freddo), difficilmente possiamo usarlo per le sue opere. Detto questo devo dire che cominciano ad essere troppi i film di Tarantino che mi appresto a vedere con grandi aspettative e che, alla fine, mi lasciano con l’amaro in bocca. Bastardi senza gloria è solo l’ultimo capitolo che da Kill Bill 1 e 2 (posso definirli carini?) all’inguardabile Grindhouse mi fa rimpiangere l’autore che prima con Le iene, poi con Pulp Fiction e dopo con il grandissimo (e secondo me sottovalutato) Jackie Brown aveva scritto delle pagine di grande cinema a 360 gradi (intendendo con questo anche uno splendido lavoro di sceneggiatura).
Come una fastidiosa sensazione di talento sprecato mentre guardavo questo suo ultimo film ambientato durante l’ultimo conflitto mondiale: gli inglorius basterds (non bastards per una questione di diritti d’autore sul titolo) del titolo sono un gruppo di soldati statunitensi che danno la caccia ai nazisti con i soliti metodi pulp che Tarantino ci ha già fatto conoscere nel passato. Ma tra dialoghi, come sempre sostenutissimi (e spesso geniali) e movimenti di macchina sempre più perfetti, risentivo una sorta di gioco fine a se stesso. Come quando vedevo Grindhouse avvertivo che Tarantino si stesse divertendo come un bambino a girare ma dimenticandosi (o forse non importandosene più) del fatto che il cinema può essere anche dialogo, confronto, crescita con lo spettatore (e non uso certo questi termini in funzione scolastica…). Quella tensione etica che avvertivo in interi passaggi (sia pur divertentissimi e sanguinolenti di Pulp Fiction) lascia spazio ad uccisioni continue abbastanza ripetitive (troppo facile e scontato il cliché del nazista da sterminare). E poi, cosa che non riesco a giustificare al nostro Quentin, alcuni buchi nella costruzione della sceneggiatura che da uno scrittore bravo come lui non mi sarei mai aspettato. Uno per tutti, come fa l’ultimo bastardo sopravvissuto a trovarsi sul pullman assieme al tenente Raine (un bravissimo Brad Pitt) mentre, accompagnati dal colonnello Landa, si dirigono verso le linee americane? Spero che qualcuno possa dirmi che mi è sfuggito qualcosa…
Continuerò a vedere i film di Tarantino e a prendere alcuni suoi dialoghi come esempi perfetti di scrittura cinematografica ma vorrei tanto che in futuro il nostro Quentin la smettesse di rimirarsi compiaciuto con la macchina da presa. Non mi aspetto da lui problematiche kieslowskiane ma personaggi di spessore come Jackie Brown o come il grande Jules Winnfield (interpretato magistralmente da Samuel L. Jackson) di Pulp fiction penso ancora di poterli chiedere.
SergioTrailer