Mi sono sempre chiesto come mai dai romanzi di Bulgakov non fossero tratti tonnellate di film. Fatta eccezione per il più noto “Maestro e Margherita”, i suoi racconti si prestano, a mio parere, enormemente a trasposizioni cinematografiche. Già con Cuore di Cane, di Vladimir Bortko questa mia convinzione aveva trovato conferma.
Ieri sera, già entrato in quello che posso definire “tunnel Balabanov”, mi sono imbattuto in quest’altro piccolo capolavoro.
Basato sull’omonima novella autobiografica bulgakoviana, Balabanov riprende egregiamente anche altri racconti contenuti nel libro “Appunti di un giovane medico”, compiendo un lavoro di trasposizione cinematografica a regola d’arte.
Essenziale, conciso, per certi versi spietato, il film ci narra la storia di un giovanissimo medico senza esperienza mandato a dirigere un ospedale in uno sperduto villaggio della Russia, in tempo di guerra civile. Le ansie, il senso di responsabilità, le paure che questo lavoro fanno gravare su di lui, lo trasformeranno in un drogato di morfina.
Senza mai scadere nel banale, Balabanov affronta il tema della droga in maniera egregia, senza ipocriti moralismi ma trascinando lo spettatore sullo stesso piano emotivo del protagonista, vivendo sensazioni di dipendenza, di angoscia, di crisi d’astinenza e di senso di colpa. Un bravissimo Leonid Vichevin, attore alle prime armi, spaventosamente rassomigliante al vero Bulgakov, aiuta notevolmente il regista a raggiungere il proprio scopo.
Sorprendente come si avverte, verso la fine, un senso di nostalgia per quell’ospedale tanto odiato durante tutta il film. Lo stesso senso che si avverte leggendo alcune pagine del libro. Come sia riuscito in questo intento non sono riuscito a comprenderlo, ma forse è un bene che resti ignoto, come il trucco di un bravo prestigiatore.
“Più della meschina verità mi è prezioso l’inganno che mi sublima, e su quest’inganno piangerò tutte le mie lacrime” diceva Pushkin, ma forse sto divagando.
Adoro come questo regista riesce a rendere le atmosfere delle sue storie. Riesce a farci fare un tuffo nel suo mondo, in questo caso nel passato, con dettagli curati sino al minimo e apparentemente più insignificante particolare. Già in Brat si nota questo tocco di classe. Decisamente migliorato con gli anni e con l’esperienza, il suo talento riesce nel medesimo intento anche con un mondo ormai estraneo a chiunque, in primis a egli stesso, per ovvi motivi di età.
Morfij non si limita a raccontare una storia; trasmette, in maniera essenziale, la vita intera del dr. Poljakov e dell’infermiera Anna Nikolajevna. Il loro freddo, la loro fame, la loro difficoltà nell’affrontare ogni giorno lo stesso inferno, la pace fittizia delle iniezioni di morfina, sono soltanto dettagli per affrontare con cura tutto il loro spettro emotivo, che lo spettatore vive assieme a loro, dall’inizio fino alla fine, una fine a dir poco geniale.
Senza dubbio un maestro nel captare l’essenza di un libro e tradurla in linguaggio cinematografico.
Robin
Tanjechka suona il piano (non ho trovato trailer sottotitolati, preferisco una scena musicale che accompagni la lettura)
hai colto in pieno la gelida perfezione del film... balabanov va oltre il fumo delle parole e l'odore di bruciato, il sapore della neve e il taglio del dolore lo senti alla fine del film, mentre tutto intorno il riso è solo ignara cornice di un cuore già spento... insieme a cargo 200, credo sia il suo film più riuscito, imperdibile per chi ama questo genere di film
RispondiEliminaIl film nasce come un tributo a Sergej Bodrov, l'indimenticabile e indimenticato protagonista di Brat, che aveva scritto la sceneggiatura di Morfij. Quando Bodrov scomparve tragicamente Balabanov decise di usare la sceneggiatura dell'amico per ricordarlo.
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