lunedì 27 giugno 2011

Vincenzo Pirrotta - Quei ragazzi di Regalpetra

Quelle volte che a Catania capita di assistere a delle opere teatrali di un certo spessore (cosa che purtroppo non avviene spesso), diventa un piacevole obbligo il trovarsi un posto in prima fila per saziare quella sete di cultura che la nostra città ha troppe volte tentato di calmare con le solite e vecchie stantie arie di continenti o ripetitive eredità di zii canonici.
Eccoci allora presenti per assistere all’ultimo lavoro di Vincenzo Pirrotta “Quei ragazzi di Regalpetra” che l’artista palermitano ha ridotto dal libro di Gaetano Savatteri assieme allo stesso scrittore. Pirrotta è  uno di quegli uomini di teatro siciliani, che per fortuna abbiamo, il quale continua a ricordarci come il fatto di avere una grande tradizione culturale alle spalle non vuol dire adagiarsi su essa senza avere più desiderio di ricerca ma piuttosto partire da quella tradizione per sperimentare nuovi linguaggi più adeguati al nostro tempo. D’altronde Pirrotta, allievo del grande Mimmo Cuticchio, ben conosce storie e tradizioni della nostra terra ma riesce ogni volta a rielaborarle e renderle vive sul palcoscenico con un lavoro sul linguaggio, sia del testo che del corpo, tale da collocarlo tra gli artisti più importanti che abbiamo oggi in Italia assieme a nomi del calibro di Pippo Delbono o dell’altra siciliana Emma Dante.
Il luogo di Regalpetra prende naturalmente le mosse da un luogo di fantasia che Sciascia creò nel 1955 nel suo “Le parrocchie di Regalpetra”, unendo la sua Racalmuto al libro di Nino Savarese “Fatti di petra”. E’ in questa Regalpetra che Pirrotta ci accompagna, facendoci conoscere luoghi e personaggi di un paese dove all’inizio tutti si affrettano a dire che la mafia non esiste, che è un affare di altri, che qui si vive di lavoro, di estrazione di sale e di zolfo. La mafia è un cancro degli altri e a Regalpetra quando avviene il primo omicidio si dice che sia storia di corna (quanto dolore e quanti ricordi lancinanti risorgono in quei momenti pensando a quello che successe a Catania nel 1984, dopo lo spietato assassinio di Giuseppe Fava con i giornali e le istituzioni che si affrettavano a dire che a Catania la mafia non esisteva e che l’omicidio era di altra natura). Ma “sangu chiama sangu” e pian piano Regalpetra diventa un mattatoio, si uccide per niente e per tutto, la faida scoppia brutale e “l’asfalto non la smette di bere sangue”. Pirrotta pone come spartiacque della storia di Regalpetra l’anno della morte di Leonardo Sciascia, come se la figura del grande scrittore rappresentasse una diga morale contro la barbarie. Il potere della penna contro quello della pistola come Saviano ci ha ricordato qualche mese fa. Ma se scompare la penna le pistole si scatenano. Regalpetra diventa un inferno in terra e Pirrotta ci presenta omicidi, vendette e canti funebri come soltanto un conoscitore della macchina teatro sa fare. Come in una moderna tragedia greca, con il coro che ci accompagna, scorrono davanti a noi storie di tragedie familiari e di patti scellerati. Ma quei ragazzi di Regalpetra non sono solo quelli che si scambiano colpi di pistole a tutte le ore ma anche quelli che, per fortuna, stanno dall’altra parte, quelli che, cresciuti a fianco di Sciascia, stampano un giornale dove cercano di denunciare tutte le violenze alle quali assistono. La faida dura 17 lunghissimi anni a Regalpetra e nel bellissimo momento finale uno di quei ragazzi virtuosi si chiede se avrebbe potuto fare di più per fermare quello scempio… no si dice,tutto sarebbe avvenuto ugualmente… ma questo è “alibi da poco, alibi da niente…”. Alla violenza non ci si abitua e del potere della cultura non possiamo mai fare a meno.
Pirrotta è il solito gigante del palcoscenico, la sua voce e il suo corpo riempiono lo spazio teatrale come pochi, l’opera forse non raggiunge i picchi di “Terra matta” che lo scorso anno riuscì a emozionarci come rare volte capita ma nel complesso è sicuramente un altro grande tassello nella sua produzione teatrale.

Sergio

6 commenti:

  1. E' stato emozionante sentire Pirrotta chiedersi e chiedere al pubblico " A cosa serve il teatro?" se non si ha il coraggio di coprire quei venti passi...
    E' questo, questa domanda che fa la differenza. Molti autori forse questo interrogativo lo hanno dimenticato e continuano a proporci spettacoli senza forza, intrattenimenti per scimmie addomesticate.
    Per fortuna Pirrotta (così come altri grandi) riesce a rompere questo muro e con la sua voce potente e diretta ci risveglia da un torpore a cui rischiamo di abituarci.

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  2. concordo in pieno.
    ci vuole ogni tanto uno spettacolo così, per non abituarci al resto.

    e mi ha fatto piacere che sia stato apprezzato anche dal pubblico e dallo stesso Teatro Stabile.

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  3. Il potere di un teatro che ti entra dentro fino a farti male, un male che ti scuote e che ti rende ancora più consapevole. La nostra terra ha bisogno di artisti come Pirotta, capaci di accrescere la fame e la sete di cultura e di teatro, ma anche capaci di non saziarti mai.

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  4. Pirrotta è però uno di quegli attori a doppio taglio. Quando lo vedo sono estasiato dal suo talento, rapito fino al punto di non sentire più neanche le vecchiette idiote che ciarlano dietro di me sulla tintura della tipa di fianco. Ma allo stesso tempo un po' mi viene la malinconia, perchè penso che certi livelli non li raggiungerò mai! (e mi piacerebbe riuscire a raggiungerli)
    Comunque, invidie e sogni a parte, uno spettacolo bellissimo. Ancora mi mangio le mani, e anche i piedi, per essermi perso Terra Matta, ma fortunatamente non mi sono perso questo. E' bello quando a teatro si riesce a non pensare più a niente, a essere completamente travolto e rapito dallo spettacolo. Qua una rarità purtroppo. Queste emozioni sono considerate "di nicchia". Meglio le classiche minchiate recitate tipo Rossana l'attrice della Marchesini (però senza intenzione comica).
    Sullo Stabile di Catania se ne possono dire all'infinito (e se ne DEVONO dire) però si può dire anche "Meno male che c'è Pirrotta"

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  5. cambiando argomento: cosa ve n'è parso della location teatro romano?

    io l'ho trovata una bella idea, ci stava anche parecchio col testo, ma ... non lo so, c'era qualcosa che "mi stava scomoda" nella visione. non so cosa. avete avuto anche voi la stessa sensazione?

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  6. Mah.. di scomodo c'era solo il fatto che stavo stretto e non potevo allungare le gambe, ma dopo un po' non ci ho fatto più caso. Lo spettacolo è riuscito a farmi dimenticare perfino che avevo fame (e per farlo dimenticare a me... ce ne vuole!)

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